Omelie
Omelia di don Attilio del 11 febbraio 2024 - Tempo Ordinario VI
Un lebbroso si avvicina al Signore, quando avrebbe dovuto tenersi a distanza. La lebbra è una malattia della povertà, che azzera; una malattia vista allora come una punizione divina, che suscita ribrezzo negli sguardi e condanna inappellabile.
Il lebbroso si butta in ginocchio. Dovrebbe stare lontano da una persona sana. Ma il dolore rende ciechi, esaspera. Chiede di essere purificato. Che è ben più di essere guarito. Chiede un cambiamento profondo di sé, chiede di tornare ad essere o di diventare quel capolavoro che Dio ha in mente.
Gesù lo vede e lo tocca. Rivela al lebbroso e a noi: Dio vuole che siamo guariti, purificati. Dio vuole che rinasciamo. Dio non ama dolore e sofferenza. È guarito il lebbroso. Questo è il Dio che Gesù vive e racconta: un Dio che vuole la nostra salvezza, un Dio felice che ci vuole felici.
Ma accade qualcosa di strano. Gesù chiede al lebbroso guarito di tacere, di rientrare in se stesso, di accogliere questa purificazione come opportunità. Ma la gioia è troppa e non riesce a tacere. Racconta il fatto. Come la suocera di Pietro, guarita per servire, il lebbroso è purificato per annunciare.
Questi siamo noi: guariti per servire, guariti per raccontare. Gesù è venuto a guarire gli ammalati, coloro che riconoscono la propria fragilità e si affidano a Lui. Bene se siamo guariti. Bene se siamo usciti dal marcio che ci taglia da noi stessi e dagli altri. Bene se in Cristo abbiamo riconosciuto il Signore che ci ama, che vuole purificarci.
Ma di quella guarigione avvenuta o che sta avvenendo siamo chiamati a diventare testimoni, perché la Chiesa è la comunità dei perdonati e dei salvati, non dei perfetti.
Don Attilio Zanderigo