Omelie

Omelia di don Attilio del 26 novembre 2023 - Cristo Re

Cosa resterà di questo tempo inquieto e dolente? Cosa resterà di questa mia vita? Cosa resterà della mia ricerca di fede? Cosa rimane alla fine della vita? Della mia vita? Di ogni vita? L'amore. Solo l'amore.

Rimane quanto ho saputo amare. Quanto mi sono lasciato amare. Quanto ho desiderato amare. Perché l'amore dirige il mondo, perché l'Amore lo ha creato e plasmato e lo fa fiorire. Non i successi, il denaro, i like rimangono ma l'amore che siamo riusciti a costruire nella concretezza del quotidiano.

L'amore accolto da Dio. Donato al meglio delle nostre possibilità, non come sforzo, ma come effusione di un amore ricevuto. Questo celebriamo in questa domenica che chiude l'anno liturgico e si avvia a concludere questo difficile anno civile. Anno della prova, della verità, della manifestazione di quello che siamo e che siamo diventati. Anno in cui violenze mai sopite sono divampate come un incendio.

Leggendo il vangelo conclusivo di Matteo restiamo sconcertati ed interdetti. Il clima è cupo, la visione di questo giudice implacabile come alcuni pittori ce l'hanno riportata, il possente Cristo di Michelangelo della cappella Sistina, ad esempio, fa paura.

Era prassi comune nel mondo ebraico valorizzare i gesti di compassione verso i deboli. Due sono le novità apportate dal vangelo di Matteo: Gesù lascia intendere che è lui che curiamo nel povero, identificandosi nell'uomo sconfitto. In secondo luogo questa identità è sconosciuta al discepolo che resta stupito nell'avere soccorso Dio senza saperlo.

Gesù si identifica nel povero. E afferma che il gesto di carità scaturisce da un cuore compassionevole, non necessariamente dal cuore di un credente. Il messaggio che Matteo ci rivolge è piuttosto chiaro: l'incontro con Dio cambia il  modo di vedere gli altri, riesce ad incontrarlo anche nel volto sfigurato del povero.

don Attilio Zanderigo