Omelie

Omelia di don Attilio dell'11 settembre 2022 - Tempo Ordinario XXIV

“I farisei e i gli scribi mormoravano dicendo: costui accoglie i peccatori e mangia con loro. Allora egli disse loro questa parabola…”

Lo scopo della parabola del figliol prodigo è di mandare un messaggio a coloro che si ritengono giusti e giudicano gli altri.

Ricordiamoci il detto dei Padri del deserto: “Se il tuo fratello pecca, coprilo con il manto della tua misericordia”. Più avanti nella parabola si legge: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre…”.

Il giovane decide di tornare a casa, spinto da una seria necessità: nessun accenno alla propria grettezza, al peccato commesso, al padre abbandonato. Lui continua a vedere solo se stesso. Il peccato diventa tale, per noi, solamente quando ne sperimentiamo le conseguenze sulla nostra pelle. Solo quando le conseguenze dei nostri comportamenti errati si trasformano in qualcosa che tocca noi stessi, allora cominciamo a sentirla come peccato.

È un pentimento per convenienza, perché si basa solo sulla visione di se stessi e del proprio bene futuro, ma è un timido inizio, una conseguenza di quel “allora rientrò in se stesso”. Il dizionario della lingua italiana, alla voce “pentimento” dice: “Provare rimorso per le azioni compiute”. Nulla di tutto ciò accade al figliol prodigo: lo muove soprattutto il proprio interesse e lo sguardo egoistico sui propri bisogni. Il pentimento vero, invece, è quello che guarda al Signore e alla persona. Tuttavia quello del figliol prodigo è un timido inizio, qualcosa che lo mette in movimento: “Si alzò e tornò da suo padre”.

Anche a noi può accadere questo: l’inizio di un cambiamento di vita è determinato dall’aver toccato con mano che un certo comportamento ha per noi conseguente negative. Tuttavia, misteriosamente, da qui parte la speranza di Dio, che sa come siamo fatti.

“Il ravvedimento di un uomo è il coronamento di una speranza di Dio” diceva Charles Péguy.

don Attilio Zanderigo