Omelie

Omelia di don Davide dell'8 dicembre 2023 - Immacolata Concezione

Quand’ero bambino, sentivo spesso cantare una melodia popolare, di cui ho perso la memoria: però era l’inno Ave Maris stella. Da grande, ho imparato a gustare il testo, perché il latino me l’hanno fatto studiare e poi perché mi sono laureato sul poeta autore di quell’inno.

Nella seconda strofa, fa un curioso gioco di parole e rivolgendosi alla Madonna, le dice: «Accogliendo l’Ave dell’angelo Gabriele, donaci la pace e invertì il nome di Eva»: mutans Evae nome. Il nome Eva, letto al contrario, diventa Ave. L’inversione di Eva diventa il saluto dell’angelo Gabriele: difficilmente avrà parlato in latino, ma al poeta andava bene lo stesso.

Le letture che abbiamo ascoltato collegano due figure femminili: da un lato, in antico, la disobbedienza di una donna (e del suo uomo); dall’altro, sulla soglia del Nuovo Testamento, l’obbedienza di Maria. Un no e un sì: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».

Detto così, sembra solo una suggestione… Invece dietro ci sono i drammi di due donne. Ci sono i drammi di due uomini, Adamo e Giuseppe, che per una volta gli uomini stanno in penombra, cosa strana in un mondo in cui la prima obbedienza delle donne era la sottomissione al maschio. Ma qui la Bibbia sa sorprenderci: una donna sta all’inizio della storia della salvezza e una donna dall’altra parte le dà compimento.

Ma chi è Eva? Povera donna, insultata nei bar, per una nomea ingiusta. Il suo peccato – il loro peccato – è detto originale: è il primo peccato, ma soprattutto ad esso assomigliano tutti i peccati. Me la immagino con lo spirito dell’adolescente, che a un certo punto della vita rompe gli argini. È l’adolescente che scappa di casa, che lascia un giardino paradisiaco per cercare felicità altrove; in fondo è la stessa immagine del figlio prodigo, che non sta bene a casa del Padre. È quello spirito che c’è stato e c’è in ognuno di noi.

Sembra paradossale, eppure la storia della salvezza si apre con un atto di disobbedienza a Dio. Sembra assurdo, ma nella notte di Pasqua, viene cantata una delle frasi più sfacciate che la liturgia conosca: «Felice colpa, che meritò di avere un così grande Redentore!». E ancora: «Davvero era necessario il peccato di Adamo, che è stato distrutto con la morte del Cristo

Era necessario un peccato? Fuori dell’Eden, Adamo ed Eva, l’umanità prende coscienza di sé e del suo rapporto con Dio. Come il figlio prodigo, quando si trova a pascolare i porci, prova nostalgia della sua dignità di figlio. E probabilmente anche a noi è capitato di provare nostalgia di Dio, quando gli abbiamo sbattuto la porta in faccia.

Adamo ed Eva si erano fatti un’idea di Dio, che proibisce all’uomo – per capriccio – l’albero del giardino. Un Dio che è rivale della loro felicità. Assaggiano il frutto dell’albero e poi hanno paura di Dio.

Ma quando l’adolescente si ribella, si scontra con Dio; esce di casa e sbatte la porta. Scopre però di essere nudo, di essere triste, di essere desolato. E allora deve camminare ancora, lungo i secoli della storia universale e lungo le tappe dell’esistenza personale, per arrivare a un’altra obbedienza, quella di Maria. Eva è l’immagine dell’umanità, che per secoli cammina per arrivare all’Ave dell’angelo e al "fiat" che lo accoglie: mutans Evae nomen.

Quell’Ave le dice che Dio non è nemico, ma amico; dice che non è un padre-padrone che le impedisce la felicità piena, proibendo proprio quello che la natura-le curiosità dell’adolescente ritiene desiderabile.

Una donna disobbediente apre la storia dell’umanità. L’accoglienza e la fiducia di Maria girano pagina e danno quasi nobiltà alla disobbedienza della prima donna: felix culpa.

Maria è obbediente a Dio… Ma non opponiamo a Eva la figura di una collegiale educanda, con la testa storta. Se Eva è un’adolescente ribelle, Maria è una donna giovane e matura, che accoglie da adulta il suo rapporto con Dio. Anche se non è tutto idilliaco: i dolori del parto restano, per Maria come per Giuseppe: una sposa incinta prima che andassero a convivere… un figlio non suo… la fuga in Egitto, la vita da esiliati, la convivenza con un figlio che non normalizzava tanto la vita quotidiana, fino al suo destino sofferto e violento in cui veniva strappato alla madre in quel modo intollerabile. Il tutto nel silenzio di Maria, obbediente anche in questo.

E a noi cosa dice tutto questo? Forse è un invito a guardare indietro la nostra vita, a rileggerla sullo sfondo di questo cammino, che è storia dell’umanità, ma è anche storia personale. Ed è storia di salvezza.

Quante volte ho vissuto quella disobbedienza, come Eva, ribellandomi a Dio? Quante volte ho raccolto i cocci di questa mia ribellione? Felix culpa, se mi permette di sentire nostalgia di casa, se mi invoglia a tornare a casa. 

Per Maria, Dio non è il padrone dell’Eden, ma è un Padre che la ama e di cui finalmente si fida: «Sono anch’io un servo del Signore. Avvenga per me secondo la tua parola». Mi aggancio all’Ave che Maria ha accolto, mutans Evae nomen.

don Davide Fiocco