Omelie

Omelia di don Rinaldo del 14 febbraio 2021 - Tempo Ordinario VI (Anno B)

Usando un paragone sportivo possiamo dire che nella odierna liturgia della Parola i lebbrosi sono ‘palla al centro’. La lebbra era una malattia ben presente nella storia del popolo ebreo. Già durante i quarant’anni passati nel deserto, dopo la fuga dall’Egitto, la lebbra colpì gli ebrei. 

Anche Miriam la sorella di Mosè ebbe la lebbra. Non sapendo come curarla e guarirla, non si trovò di meglio che allontanare il lebbroso dalla comunità. Così il lebbroso veniva più volte colpito e umiliato: dalla malattia, dall’allontanamento dalla famiglia, dal lavoro, dagli amici, da tutte le relazioni sociali e considerato moralmente un immondo. Mosè ed Aronne, per salvare i più, altro non poterono fare che condannare legalmente i già condannati dalla malattia.

Gesù inverte e giudizio e comportamento. Un lebbroso supplica Gesù in ginocchio: “Se vuoi puoi purificarmi”. 

L’evangelista, prima di narrare il miracolo della guarigione, svela l’animo interiore di Gesù verso il lebbroso che lo supplica, quindi verso ogni persona sofferente, non importa se per una malattia del corpo o per una malattia dell’anima. Dice Marco: “(Gesù) ne ebbe compassione…”.

Gesù ha compassione, perché è compassionevole per sua natura. Il Figlio dell’uomo è venuto non per condannare, ma per risanare. Dal suo cuore sgorga inesauribile la compassione verso tutti. “Tese la mano, lo toccò e gli disse: lo voglio”. La compassione non si vede, è una virtù del cuore. Gesù la rese visibile toccando con la mano il lebbroso. 

Era proibito dalla legge toccare i lebbrosi. Chi toccava un lebbroso, si macchiava interiormente, diventava un impuro. Gesù sbaraglia questa iniqua legge, che fa di una malattia una fabbrica di peccati. Povera legge umana della sanità se non parte dalla compassione! Povera legge umana se, per difendere un diritto individuale o sociale, andasse contro la virtù della solidarietà.

Mosè sa di essere un legislatore imperfetto. Non può fare di meglio, ma sa che verrà Uno che sostituirà la legge iniqua con il comandamento dell’amore che metterà al primo posto il debole.

Dopo il miracolo, Gesù, con severità, disse al lebbroso guarito: “Guarda di non dire niente a nessuno”. Altrove Gesù dirà a chi, mosso da compassione, con qualsiasi mezzo a sua disposizione verrà in aiuto alla persona nel bisogno: “Non sappia la tua destra quello che ha fatto la tua sinistra”. Ugualmente stigmatizza coloro che fanno l’elemosina per essere visti e lodati o fanno pubblicamente il digiuno allo scopo principale di apparire perfetti. 

Non è facile capire fino in fondo questo insegnamento di Gesù. Facessimo un referendum per chiedere chi è con Gesù e chi sta con il miracolato che, accortosi di essere guarito, “si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in città”, probabilmente saremmo tutti dalla parte del miracolato. Il Gesù di Marco non vuole che si sappia che egli è il Messia, il figlio di Dio, per evitare di essere preso immediatamente, condannato e messo a morte. Per lui prima doveva venire il tempo della predicazione. Solo alla fine sarebbe arrivato il tempo della condanna a morte, proprio con questa imputazione: “Si è fatto figlio di Dio”.

Per noi c’è un insegnamento da cogliere nelle parole di Gesù: dobbiamo sempre rendere grazie a Dio per tutti i benefici ricevuti, sia normali che straordinari, ma evitiamo di gridare al miracolo per banali motivi o di essere alla ricerca dello straordinario nella nostra religiosità, che è già straordinariamente ricca. 

don Rinaldo Sommacal