Omelie

Omelia di don Rinaldo del 7 febbraio 2021 - Tempo Ordinario V (Anno B)

L’evangelista Marco, con poche battute, ci dà di Gesù il volto del misericordioso, dell’orante e del predicatore. Con un gesto di squisita amicizia, Gesù guarì la suocera di Simon Pietro. Immediatamente il passa-parola attirò a Gesù tutti i malati nel corpo e nello spirito del vicinato. Dice Marco: “Gesù guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni”.

Così facendo Gesù rispose all’angosciante interrogativo che veniva dal lontano Giobbe, un innocente diventato l’uomo dei dolori, e anche all’interrogativo di tutti i tempi: “Perché Dio permette che l’innocente soffra, mentre il malvagio prospera?”.

Gesù rispose all’interrogativo a modo suo. Gesù è l’uomo giusto. In lui non c’è colpa alcuna. Entrando nel mondo disse: “Vengo o Padre per compiere la tua volontà”. La volontà di Dio, che Gesù eseguì in sovrabbondanza, è questa: il vero male presente nel mondo, causa di ogni altro male, che tutto inquina e impedisce all’umanità la eterna salvezza, è il peccato che l’uomo compie contro Dio, contro i fratelli e contro se stesso. 

Non poteva essere il peccatore a salvare il peccatore. Era necessario che un innocente, e per di più superiore all’uomo, accettasse di essere aggredito dal peccato per distruggere il peccato stesso e risanare il peccatore. L’innocente Gesù divenne l’uomo dei dolori, per trasformare i dolori dell’uomo da castigo a strada di salvezza. Quel Gesù, che liberamente, con inaudita sofferenza, accettò come Dio di essere appeso alla croce al posto nostro, ora stende la sua mano per chiedere a noi le nostre innocenti sofferenze, per completare ciò che manca alla sua passione. 

Noi, i redenti da Gesù, sappiamo ora di poter aiutare Gesù a redimere l’intera umanità. Diremo tra poco, versando poche gocce d’acqua nel calice del vino: “L’acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita divina di colui che ha voluto assumere la nostra natura umana”. L’uomo, reso innocente dalla passione e morte di Gesù, con le sue sofferenze diventa in Gesù preziosa e cosciente medicina di salvezza. Il dolore cristiano resta un mistero, ma è mistero di salvezza. Da salvati siamo diventati salvatori.

Entriamo così nell’altra dimensione di Gesù: Egli, essendo la salvezza, deve dirlo e portarla a tutti attraverso la predicazione.

Gesù disse: ”Andiamocene altrove, perché io predichi anche là”. C’è un plurale al singolare e viceversa. Gesù, e lui solo, è il vangelo. Gesù si dona attraverso l’annuncio. A predicarlo c’è un plurale che Gesù stesso ha coinvolto: i suoi discepoli, la sua comunità, oggi la sua Chiesa, oggi noi, proprio noi! 

La Chiesa non può non far suo quell’"andiamocene altrove". E’ l’imperativo fatto proprio alla lettera dall’apostolo Paolo che ci scrive: ”Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità”. E’ una confessione apostolica che interpella oggi tutti e ciascuno di noi. Da peccatori redenti, reclutati da Gesù come costruttori di salvezza, come corredentori. Ne siamo coscienti? Forse sì e forse no. 

Quale la strada per capirlo? La strada scelta da Gesù prima della predicazione: la preghiera. I contemplativi sono i primi a conoscere, capire, diventare. Forse è la crisi delle crisi: la mancanza della preghiera.

don Rinaldo Sommacal