Omelie

Omelia di don Attilio del 15 novembre 2020 - Tempo ordinario XXXIII

“Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.” La parabola di oggi considera i talenti come  dei doni che i discepoli devono custodire e far fruttificare in attesa del ritorno del Signore. La parabola è molto chiara, al riguardo, i talenti vengono dati «a ciascuno secondo la sua capacità» (Mt 25,15).

Nel tempo dell'attesa, noi siamo chiamati a custodire e a far fruttare i talenti che il Signore ci ha consegnato. Il cuore della parabola mette in evidenza il contrasto fra operosità e pigrizia, fra intraprendenza e passività. Ci sono i due servi che restituiscono il capitale dei talenti raddoppiato e ricevono l'elogio ma soprattutto la partecipazione alla gioia del padrone. Il servo che ha ricevuto un talento, invece di farlo fruttare, lo seppellisce. Quel che più sconcerta è la ragione di tale azione: ha paura della reazione del padrone.

Gesù sottolinea che non possiamo piacere a Dio se viviamo nella paura. Possiamo rovinarci la vita a causa della paura. Anche la vita di fede. Paura di sbagliare, di essere giudicati, incapaci di fare qualcosa. A volte non sappiamo valutare correttamente cosa siamo e quanto valiamo. Altre volte sono le vicende della vita che ci rendono  prudenti fino alla paralisi.

Possiamo avere un’idea sbagliata anche su Dio: egli è colui che ci giudica, che ci pesa. Perciò non osiamo spendere la vita per lui. Ma non è cosi. Dio ha fiducia di ciascuno di noi e affida i talenti, in proporzione alle nostre capacità. Accogliere il dono del vangelo, l'eucarestia,  la comunità, i valori da portare agli altri per diventare testimoni di un mondo migliore. Questo significa dare il meglio di noi stessi, ci rende capaci, ci rende persone nuove.

don Attilio Zanderigo