Omelie

Omelia dell'11 ottobre 2020 - Tempo Ordinario XXVIII

“Gesù riprese a parlare con parabole e disse: “Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.”  E’ facile immaginare la  scena: una grande sala imbandita a festa per un matrimonio, ma rimasta vuota, perché l’invito è stato rifiutato.

L’immagine del banchetto è squisitamente messianica, e inaugura l’era nuova della salvezza offerta dal Signore a ogni uomo.

L’amore immenso di Dio si scontra con il rifiuto dei primi invitati, con la distrazione per altri interessi dei secondi, e con l’avversione violenta degli ultimi. La lunga lista degli “invitati” diventa una lista di destinati alla condanna. E’ la misera fine di chi si esclude dalla partecipazione al banchetto. Inoltre coloro che in un primo momento risultavano esclusi, perché condannati da pregiudizi sociali e religiosi, sono  pienamente accolti come commensali.

L’invito del Signore si scontra con la presunzione di quanti si autoescludono dall’esperienza di fede, pensando di aver trovato in se stessi, nei propri “affari”, dentro le proprie situazioni di vita, la salvezza. La salvezza viene offerta da un Altro. E credere a questo richiede fiducia: l’uomo è sempre tentato di fidarsi di ciò che fa con le proprie mani, si affida più volentieri alle conquiste che sono risultato dei suoi sforzi. L’uomo è sempre tentato di pensarsi salvatore di se stesso.

Credere significa affidare la propria vita nelle mani di un Altro. Ma questo non rappresenta la soluzione più “facile”. Il rischio di entrare alla festa senza abito nuziale può sempre esserci. Il termine “amico” con cui il re chiama il commensale trovato senza abito nuziale, indica un rimprovero. E’ il richiamo a chi pensa di partecipare alla salvezza senza sforzo.

Che cos’è la veste bianca? S. Agostino dice che è la carità. “Non una carità qualunque; una carità che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera.” Dunque, non un’appartenenza formale, ma autentica, vera.

don Attilio Zanderigo