Omelie

Omelia di don Rinaldo del 22 marzo 2020 - Quaresima IV (Anno A)

Dopo lo splendido binomio ‘sete-acqua’ della scorsa domenica, oggi la liturgia ci propone un altro forte confronto: ‘luce-tenebre’. Colletta ci fa chiedere a Dio: “Padre della luce… non permettere che ci domini il potere delle tenebre, ma apri i nostri occhi, perché vediamo colui che hai mandato a illuminare il mondo”. Molti sono i significati della luce e della tenebra. Per luce intendiamo tutti gli aspetti positivi della vita. Per tenebra diciamo tutte le negative situazioni che ci possono essere in noi e attorno a noi, fisiche, morali, spirituali.

Partiamo dal Vangelo. Il miracolo compiuto da Gesù è descritto in un modo così semplice che sembra il gioco del bambino che getta un sasso in mare. Un cieco dalla nascita. Gesù lo vede. Impasta del fango con la saliva. Si avvicina al cieco, gli spalma il fango sugli occhi e gli dice: “Va a lavarti nella piscina di Sìloe”. Siamo a Gerusalemme. Il cieco va, si lava e torna che ci vede.

Come il sasso, gettato dal bambino, muove tutto il mare, così quel miracolo suscita un veloce passaparola dai pochi testimoni oculari, ai vicini, ai passanti, ai curiosi di professione, ai fedeli del tempio, fino ad arrivare sulla cattedra degli scribi e dei farisei. Mentre il miracolo dà la vista al cieco e la luce della fede a quanti, con semplicità, constatano il prodigio, lo stesso miracolo viene contestato, quindi respinto, dai maestri in Israele, che piombano entro un intrigante spessore di tenebra. Nasce uno scontro frontale tra quelli che predicavano la legge come l’unica strada della salvezza, e Gesù, che, compiendo il miracolo in giorno di sabato, fece capire che non è l’uomo per il sabato, ma il sabato per l’uomo, cioè non è l’uomo per la legge, ma la legge per l’uomo.

Nell’economia della salvezza, come ce la presenta Gesù, il figlio di Dio, s’incontra un paradosso da proclamare, anche se deve essere inteso con intelligenza, fino in fondo e alla luce dello Spirito Santo. Quale paradosso? Che non è l’uomo per Dio, ma Dio per l’uomo.

Se una religione predicasse un Dio despota, che sottoponesse l’uomo a schiavitù con leggi morali, che lo incatenassero e lo costringessero ad una giustizia forzata, quello non sarebbe certamente il Dio di Gesù Cristo, il nostro Dio. Il Dio di Gesù Cristo e Gesù Cristo Dio danno leggi che sciolgono le catene e portano la libertà al suo massimo splendore, giacché l’Everest della nostra legge morale sono i due precetti dell’amore: amare Dio come Dio ci ama e amare il prossimo come noi stessi. Non si può amare per forza. Amore e libertà convivono.

Ecco perché l’apostolo Paolo, immerso nella luce, che è Cristo, dice ai cristiani quello che ha esperimentato in se stesso, dopo aver incontrato Gesù: “Un tempo eravate tenebra. Ora siete luce nel Signore; il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità”.

Per tutti c’è un tempo di tenebra. Come nella crescita fisiologica, così anche nella crescita della fede e della morale, possiamo affermare che egoisti si nasce e liberi si diventa. Con questa logica e in questa prospettiva si devono fare le leggi che aiutano l’uomo a liberarsi dalla schiavitù della ignoranza, per veleggiare nella verità che, da servi, ci fa diventare figli di Dio.

Ma quale cultura è più propizia alla verità che la cultura cristiana, poiché ha per maestro e guida uno che può dire senza ombra di errore: “Io sono la verità” e “chi cammina con me non cammina nelle tenebre”? Lasciamoci guidare dal cieco. Egli, dopo aver ricevuto da Cristo il dono della vista fisica, non si accontenta del dono materiale, ma diventa un formidabile testimone di Cristo. Pur non avendolo visto, senza dubbio di sorta va dicendo a tutti: “È un profeta”. Per questo è cacciato da chi è rimasto ostinatamente nelle tenebre. Gesù, incontratolo, completò il miracolo. Gli disse: ”Tu credi nel Figlio dell’uomo?”. “Chi è?” gli chiese il miracolato. “È colui che parla con te”. In ginocchio, gli disse: “Credo, Signore!”. L’elezione di Davide ci insegna che il Signore non si ferma né alle apparenze, né alle leggi degli uomini. 

‘Il Signore vede il cuore’. A sua volta, il cuore, illuminato, vede Dio. 

don Rinaldo Sommacal