Omelie
Omelia di don Rinaldo del 15 marzo 2020 - Quaresima III (Anno A)
Due parole, strettamente correlate tra loro, percorrono le sacre scritture di questa domenica: la sete e l’acqua. La sete: si dice che una delle peggiori torture che si possono infliggere a una persona è privarla dell’acqua. È insopportabile già vedere una persona sottoposta a tale supplizio. Se poi è un popolo intero che si trova nella siccità e non sa come uscirne, diventa drammatico.
È quello che esperimentarono, nel deserto del Sinai, gli ebrei, fuggiti dall’Egitto e guidati da Mosè. Fu così grande la loro rivolta contro Mosè e contro Dio, per la mancanza d’acqua, che quel luogo cambiò nome e si chiamò, da allora, Massa e Meriba, cioè “protesta”.
Questo racconto ci porta a scoprire fatti sconcertanti di attualità. Nel mondo ci sono intere zone in cui il deserto avanza e nelle quali la siccità miete colture, animali, intere popolazioni. A volte è dovuto all’avversa stagione, ma il più delle volte è dovuto alle cosidette deforestazioni selvagge, fatte per guadagno di rapina, che sconvolgono i sistemi naturali e producono miseria in loco.
Anche Gesù, stanco per un lungo viaggio, ha sete. Si ferma presso il pozzo di Giacobbe in Sicar di Samaria. Vede una donna, che giunge ad attingere acqua e le chiede: “Dammi da bere”. Gesù aveva veramente sete. La sua natura umana non ricorreva ai miracoli per sopravvivere. Si regolava esattamente come ogni natura umana: aveva fame, sete, sonno; provava le gioie e le nausee fisiche come ogni uomo; godeva e soffriva il cambiar del clima. In quel mezzogiorno Gesù era un uomo veramente stanco e aveva veramente sete.
Ma, sia la sete degli ebrei, che la sete fisica di Gesù, diventano veicolo per approdare ad un’altra sete e scoprire ben altra acqua. Dio permise agli ebrei di giungere a soffrire la mancanza di acqua, perché si acuisse la consapevolezza dei limiti dell’uomo e scoppiasse, pur con alte grida e mormorazioni, il bisogno di Dio, cioè di Colui che è la fonte, non solo dell’acqua che disseta il corpo, ma di quella che fa rifiorire la sete della spiritualità e della fede. Mosè, sconsolato per le proteste del popolo e impotente per la mancanza d’acqua, si rivolge a Dio, dicendo: “Che farò io a questo popolo?”. Dio gli ingiunse: “Percuoti con il bastone la roccia. Io farò scaturire l’acqua e il popolo berrà a sazietà”. E così fu. Allora il popolo riscoprì il suo Dio e, prostratosi, lo adorò.
Gesù percorse un’altra strada per giungere alla sete di Dio. La donna, che aveva il coltello dalla parte del manico, in quanto aveva il secchio ed era sicura di poter attingere acqua, e abile com’era con gli uomini, poiché donna dai facili costumi, cercò di prendersi gioco di Gesù, perché Giudeo. Gesù si lasciò condurre da lei, ma per ricondurre lei da lui. Da assetato, Gesù si tramutò lentamente in una fonte di acqua viva, zampillante per la vita eterna.
Gesù suscitò nella donna un bisogno struggente di quell’acqua, che non zampilla da un pozzo scavato e le rivelò così la nuova falda acquifera che disseta i più profondi bisogni interiori: “Chiunque beve di quest’acqua avrà ancora sete. Ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete. Anzi... diventerà lui stesso sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna”.
Ecco chi è veramente Gesù: attraverso la sua umanità, che lo accomuna a tutti noi, ci vuol donare quell’acqua invisibile che c’è in lui ed è di natura divina, per farci bere divinità e immortalità. Ma non basta: chi beve Gesù, come Gesù diventerà portatore in questo mondo di acqua che dà la vita eterna. Siamo nel campo della fede. Non tutto è chiaro. Ma tutto è vero. Come è vera (e la facciamo nostra) la preghiera della Samaritana: “Signore, vedo che tu sei un profeta. Dammi di quest’acqua”.
don Rinaldo Sommacal