Omelie
Omelia di don Rinaldo dell'8 marzo 2020 - Quaresima II (Anno A)
Oggi la Chiesa, nella preghiera di colletta, ci fa chiedere:”O Dio…, aprici all’ascolto…”. Uno dei richiami ricorrenti che Dio rivolge al suo popolo per mezzo dei profeti è questo: “Ascolta Israele”. È l’ascolto che fa l’uomo! Chi dobbiamo ascoltare? Certamente Dio che per sua natura è Parola, è Verbo. Più si ascolta e più Dio parla. Come ci ha parlato Dio e dove sentiamo la sua voce?
Nei tempi antichi ci ha parlato per mezzo dei profeti e ultimamente per mezzo di Gesù, la Parola di Dio fattasi carne come noi. Dio ci parla in continuazione. Se la Parola suppone ascolto, l’ascolto richiede disponibilità, attenzione, anche puntualità, altrimenti la Parola proclamata viene vanificata e resa inefficace.
Oggi la Parola di Dio ci invita a ripartire da Abramo, nostro padre nella fede. La vita di Abramo si divide in due parti:
- la sua giovinezza durante la quale assorbì la decadenza dell’umanità che, strada facendo, aveva smarrito la conoscenza del vero Dio e si era fabbricata innumerevoli divinità, suggerite più dalle passioni dell’uomo al ribasso che dal bisogno di perfezione e di spiritualità;
- la sua maturità e la sua vecchiaia che vennero pervase dal diretto intervento di Dio che lo costituì capostipite di un nuovo popolo.
“Il Signore disse ad Abramo: vattene dalla tua terra… verso la terra che io ti indicherò”. La terra da cui Abramo doveva andarsene non era tanto un territorio, quanto il modo di vivere dell’uomo sulla terra. Abramo obbedì e da quel momento si pose in ascolto di Dio.
Dio parla. Chi lo ascolta e gli obbedisce, diventa terra promessa. Dio fece capire ad Abramo che non si possono servire più dei, perché se Dio c’è, come c’è, non può che essere uno e unico. Se Dio c’è, è necessario abbattere ogni divinità che è stata inventata più dalle passioni umane che dalla sana ragione che, anche da sola, se guidata dalla retta ragione, arriva a dire:”Se Dio c’è, ma non può non esserci, non può che essere unico”. Ed è questo il Dio di Abramo.
Rispetto alle altre religioni politeiste, che normalmente hanno divinità cariche a loro volta dei difetti umani, il Dio di Abramo, che è il Dio di Mosè, il Dio di Gesù Cristo, è un Dio che prende con passione l’iniziativa e parla all’uomo. All’uomo che ascolta, propone una cosa straordinaria: di allearsi con Lui, poiché Dio, per sua natura, è un fedele alleato dell’uomo.
L’apostolo Paolo, raccolta l’eredità della fede nel Dio di Abramo, ci dice: “Egli ci ha salvati e ci ha chiamati a una vocazione santa”. Paolo, rispetto ad Abramo, gioca la carta decisiva. Si chiede: chi ci dice che il Dio di Abramo ci ha chiamati fin dall’eternità? chi ci dice che le promesse fatte ad Abramo non erano vuote parole, ma salutari verità? Risponde: tutto si è reso vero e visibile attraverso la manifestazione del salvatore nostro Gesù Cristo.
Paolo, che da Gesù Cristo fu atterrato sulla via di Damasco, non ha bisogno di argomentare queste verità, ma solo affermarle. A questo punto è Gesù in persona, la Parola di Dio, il rivelatore dell’alleanza promessa ad Abramo e ripetuta per secoli per mezzo dei profeti, a manifestarsi per quello che è, a dichiarare vere le promesse e ad illustrarne il prezzo e gli effetti. Portati con sè tre genuini testimoni, salì sul monte alto e ci donò una delle più affascinanti epifanie, dove rivelò se stesso.
Il magistero infallibile della Chiesa ci insegna che Gesù univa nella sua persona divina due nature: la divina, che ebbe dall’eternità e l’umana, che ricevette da Maria. Per poter passare attraverso gli uomini da uomo, Gesù scelse, con il consenso del Padre, di far apparire solo la sua natura umana. Ma, per consegnare a credibili testimoni la prova della sua divinità, sul Tabor fece vedere loro la sua natura divina.
Noi non abbiamo dubbi sulla divinità di Gesù, morto e risorto. Solo una cosa dobbiamo perfezionare. Ce la chiede, quasi la implora, il Padre celeste: “Ascoltatelo”. Lo stesso appello riempie il nostro libro sinodale. Ma noi ascoltiamo Gesù? A questa domanda solo ognuno di noi può darne la risposta, e non possiamo barare.
don Rinaldo Sommacal