Omelie
Omelia di don Rinaldo del 29 novembre 2020 - Avvento I (Anno B)
L’alba del nuovo anno liturgico esplode con un grido di fede del profeta Isaia che anticipa di secoli quello che sarà il grido del Messia, grido che continua nel tempo ed oggi giunge a noi. Così Isaia, a nome dell’umanità, pentita delle sue colpe, si rivolge all’unico e vero Dio e gli dice: “Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore”.
Poi Isaia invita Dio a scendere in mezzo al suo popolo per sollevarlo dai mali morali e fisici e riportarlo a salvezza e al suo popolo ricorda i tanti benefici ricevuti da Dio. Ma immediatamente, con sincerità e umiltà, confessa a Dio le colpe del popolo che non volle esserGli fedele e tutto questo per chiedere a Dio di ridiscendere, di perdonare, di risanare, di rimettere in corsa l’umanità verso la salvezza. Isaia in modo poetico, ma anche commovente, conclude dicendo a Dio: “Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo ope-ra delle tue mani”.
Facciamo nostri alcuni preziosi verbi della preghiera di Isaia e divoriamoli fino a farli diventare carne della nostra umanità: “ritorna per amore dei tuoi servi…”; “vai incontro a quelli che praticano la giustizia”; “perché ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore?”.
Compreso il grande Isaia, è facile entrare sulla strada tracciata dall’apostolo Paolo, il quale ci fa capire che l’invocazione del popolo di Isaia ha avuto una risposta superiore ad ogni previsione. Non solo Dio dall’alto dei cieli ha inviato sulla terra le sue benevolenze, ma addirittura è sceso nella persona di Gesù. Per questo Paolo scrive alla Chiesa di Corinto: “Rendo grazie continuamente al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù”. Sì! il Signore di Isaia ha risposto alla supplica del popolo, ha risposto in un modo sproporzionato rispetto a quello che ci meritavamo ed a quello che noi riusciamo a capire e ad apprezzare.
Anch’io, ultimo dei pastori nella Chiesa di Cristo, sulle orme di Paolo, oggi, ai piedi di questo nuovo Anno Liturgico, rendo grazie, fino alle lacrime, a Dio Padre, perché ci ha donato nientemeno che suo figlio, nella persona di Cristo Gesù. Come Paolo, in noi, cristiani, io vedo e voglio vedere la presenza di Gesù, poiché siete usciti dal fonte battesimale figli di Dio e lo siete realmente. “Noi l’argilla e Tu colui che ci plasma”.
Ma ne siamo coscienti? Se lo siamo, dovremmo sentire le nostre persone vibrare di gioia, diversa da tutte le gioie terrene, che ci penetra spirito, anima, corpo, sentimenti, propositi, vita. Infatti “in lui siete stati arricchiti di tutti i doni” insiste san Paolo e con Paolo lo ripeto anch’io, oggi, a voi.
Ecco allora il significato del nuovo anno liturgico: quanto è avvenuto ai tempi di Isaia, quanto si è compiuto ai tempi di Gesù, oggi si rinnova, qui, ora, tra noi, per mezzo nostro. Cosa? L’evento che vede Dio farsi uomo in Gesù e Gesù che si fa presente e operante nella storia.
Se il ritorno ultimo di Gesù, l’Amen della storia, da Gesù stesso è annunciato come un mistero nascosto agli uomini, c’è, però, il perenne suo venire che è in atto e che l’anno liturgico puntualmente ci dona. Protagonisti oggi del ritorno di Gesù siamo proprio noi.
Quale la parola guida da accendere all’inizio di questo nuovo anno di grazia? “Vegliate, perché non sapete qual è il momento”.
Don Rinaldo Sommacal