Omelie

Omelia di don Rinaldo del 17 novembre 2019 - Per Anno XXXIII (Anno C)

Siamo alla vigilia della fine dell’anno liturgico 2018-2019. C’è aria di esame su quanto abbiamo fatto lungo tutti i giorni appena vissuti; c’è aria di voto finale che può essere di una brillante promozione per alcuni; di alcune insufficienze da riparare con un supplemento penitenziale per i più; forse, speriamo di no, di totale bocciatura, per chi colpevolmente non ha voluto svolgere i compiti quotidiani che la retta coscienza aveva nitidamente loro indicati.

Cosa dire della fine dell’uomo sulla terra?  Che è una certezza, ma che è affidata al mistero. Alla domanda dei discepoli: “Quando dunque accadranno queste cose?”, il Maestro ripose: “Molti verranno nel mio nome dicendo: “Il tempo è vicino…, non andate dietro a loro!”.

Riprendiamo il serissimo problema dell’esame finale, con rispettivo giudizio, che ognuno di noi dovrà subire, in vista della promozione (paradiso), della purificazione (purgatorio) e del castigo eterno (inferno). Una antica preziosa spiritualità, un tempo proposta fin dall’infanzia e puntualmente praticata in tutte le famiglie cristiane, insegnava che al termine di ogni giorno, durante le preghiere della sera, si doveva trovare il tempo per un breve, sincero, incisivo esame di coscienza. Ci si domandava come si era vissuta la giornata, non tanto sotto l’aspetto della salute o dei mali fisici, bensì sotto il profilo morale: “Sei stato buono o cattivo? Giusto o ingiusto? Pigro o laborioso? Generoso o egoista? Sincero o bugiardo? Credente o ateo? Umile o superbo? Generoso o tirchio? Hai pregato o no?”, ecc.

Il quotidiano esame di coscienza, fatto sull’imbrunire, prima di chiudere gli occhi al giorno, senza sapere se li avresti riaperti l’indomani, ti aiutava a conoscerti meglio, a non barare con te stesso, ad avere tutto il tempo per curarti le ferite morali, per ripresentarti al giorno dopo più adulto in fatto di maturità umana. Era un pio esercizio che portava Dio in casa ed alla casa di Dio. Un bel ‘atto di dolore’, detto con cuore sincero, ti faceva sperimentare il perdono di Dio, ma anche il suo compiacimento ed il suo incoraggiamento. 

Malachia inchioda il superbo sulla sedia dell’imputato numero uno, che, al posto dell’esame di coscienza, ogni sera fa la somma dei suoi successi, non importa con quali mezzi realizzati. Al mattino, al posto della preghiera del ‘Ti adoro, ti amo, ti ringrazio, ti offro…’, si chiede: “Oggi su chi e come potrò imporre la mia indiscussa volontà di dominio?”. Chi è questo tale, che, oggi, sembra riscuotere larghi consensi? È colui che ha seguito la voce dell’orgoglio, si è fatto il ‘dio’ di se stesso, si è fatto strada con le indiscusse capacità ricevute, ma le ha fatte diventare ancelle del suo amor proprio.

Il superbo commette la prima e più brutale ingiustizia: quella di prendere il posto di Dio e di imporsi sugli altri come un ‘dio’ a cui tutto è permesso. A costui, nel ‘giorno rovente come un forno’, Dio dirà: “Avevi molte capacità. Le hai ricevute tutte da me gratuitamente. Le hai usate per farti un paradiso in terra. In parte ci sei riuscito. Hai ricevuto già la tua ricompensa. Però il fuoco del mio giudizio non trova in te nulla che sia degno di eternità.

Amore di Dio e del prossimo o amor proprio?  Scegliamo! 

don Rinaldo Sommacal