Omelie
Omelia di don Rinaldo del 29 settembre 2019 - Per Anno XXVI (Anno C)
Sia il brano di Amos profeta che la parabola evangelica sottolineano i vizi di quanti, nati nella ricchezza, con duro lavoro accumulata da altri, fanno della loro vita oziosa una continua goduria, così da inventare il detto che “qualcuno vive per mangiare”. Si parla di quel modo quasi animalesco di godere, che porta al degrado fino al punto che lo spirito si spegne, la ragione non intende ragione, i sensi diventano insaziabili e la persona perde la propria identità. A questi vizi potremmo arrivarci tutti, se predominasse in noi, anziché il vero senso della vita, la spensieratezza degli spensierati, come dice bene Amos.
Gli spensierati, infatti, sono egoisti che sentono solo la voce dei loro istinti. Per gli spensierati i poveri, oltre che essere un fastidio, un incomodo, sono da considerarsi come una specie inferiore da affidare alla compassione dei cani.
Ma inesorabile, anche per loro arriva la morte. Parola spaventosa per i gaudenti senz’anima. Non la volevano neppure nominare quando, da giovani, erano pieni di vigore fisico. La paventano quando arrivano i primi segni del cedimento. Pagano dei bugiardi guaritori, perché continuino a illuderli che non è niente, che si tratta solo di malori passeggeri da tacitare con pillole miracolose, droga in testa. Ma non c’è tangente che riesca a corrompere la sovranità della morte.
La morte arriva, sia per il ricco Epulone, sia per il povero Lazzaro. La giustizia, calpestata in vita, riprende il suo ruolo di bilancia infallibile, capace di sapere perfino il numero di capelli che ognuno di noi ha avuto o ha in testa. Davanti alla verità nessun bugiardo può dire il falso a sua discarica.
Anche il ricco Epulone, per la pena subita, non fa alcun cenno di autodifesa. Fa due petizioni, nobili, ma tardive per essere esaudite. Chiede solo un po’ di clemenza, per alleviare il tormento della sua pena che continuamente gli rinfaccia: “Stolto, cos’hai fatto del dono della vita e delle ricchezze ricevute in eredità?” Chiede a padre Abramo di mandare nientemeno che Lazzaro dai suoi cinque fratelli, perché si ravvedano e “non abbiano da venire in questo luogo di tormento".
La risposta di padre Abramo è limpida, sferzante, attualissima. La vogliamo fare nostra. È Gesù che mette in bocca ad Abramo la seguente risposta: “Neanche se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi”. È una affermazione forte. Ci fa capire che ci possono essere delle sbagliate prese di posizione in questa vita che resistono anche contro e di fronte all’evidenza: sia sul piano delle verità naturali, sia sulle prese di posizione circa le verità morali e teologiche della fede, anche cattolica.
A me e a voi dico quello che l’apostolo Paolo disse al suo discepolo: “Combatti la buona battaglia della fede e cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato”.
don Rinaldo Sommacal