Omelie
Omelia di don Rinaldo del 25 agosto 2019 - Per Anno XXI (Anno C)
Nel brano che oggi la liturgia ci propone, Isaia profeta, con occhio d’aquila, scruta il futuro remoto, vede lontano e profetizza i tempi ultimi del progetto ‘salvezza’ che Dio ha promesso all’umanità e che il Messia porterà a compimento. “Io verrò” dice il Signore di Isaia, il Signore dell’alleanza. Quindi il Dio di Isaia, che è il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Gesù Cristo, è un Dio presente nella storia dell’uomo.
Dio viene come e quando vuole. Promette e mantiene. Può arrivare direttamente alle singole persone, illuminando le loro coscienze, che ricevono, per grazia, quello che altri imparano per le strade della educazione e della evangelizzazione (es. S. Paolo).
Dio normalmente si avvicina agli uomini attraverso altri uomini: i genitori per i figli, gli amici agli amici, ma anche attraverso persone che Dio si è scelto ed ha inviato per strade a volte limpide ed evidenti, spesso misteriose: è il caso dei profeti, degli uomini di Dio e delle strutture che Dio ha scelto per tale compito, come il ‘popolo ebreo’ nella prima alleanza e la Chiesa di Cristo nella seconda e perfetta alleanza.
Salito Gesù in cielo, gli apostoli si strinsero con Maria nel Cenacolo. Ricevuto il dono dello Spirito Santo, uscirono allo scoperto e cominciarono a predicare il Gesù, morto e risorto per tutti, e fecero vedere che tra loro erano come ‘un cuore solo e un’anima sola’. Davanti a quella vista, dicono le scritture, tutti si chiedevano ‘ perché’, e molti si facevano battezzare, diventando a loro volta missionari nei loro paesi, anche lontani. In poco tempo quel salutare contagio arrivò fino agli estremi confini dell’impero romano e fino alle Indie.
Ecco cosa ci chiede oggi Gesù nel vangelo: possederlo non da egoisti, dicendo “noi ci salveremo perché lo possediamo”, ma possederlo per donarlo a piene mani, con l’esempio e con la parola. Più lo faremo conoscere, più la porta stretta si farà grande e più Gesù sarà felice di dirci: “Ti/vi conosco. Entra/entrate”.
Chi conosce il vangelo di Gesù, conosce Gesù in persona e conosce anche che cos’è bene e che cos’è male. Rileggete per conto vostro la stupenda pagina tratta dalla lettera agli Ebrei. È di una attualità sconcertante, ma per assurdo. Infatti, mentre leggiamo nella lettera queste parole: “Il Signore corregge colui che Egli ama”, succede che la parola ‘correzione’ oggi è diventata parola sospetta, quasi proibita.
I genitori hanno ancora il coraggio di correggere i figli? I genitori accettano che, qualche altro, magari i nonni, i maestri, i professori, i sacerdoti, gli animatori, la gente comune muovano rimprovero ai loro figli se discoli? Non corre forse troppo sovente questa frase: “…Mio figlio no, mio figlio non è colpevole”, magari anche andando contro l’evidenza? La correzione giusta non è un vituperio, ma un dono. Si sa, è difficilissimo correggere con e per amore, ma la correzione fraterna è un comandamento evangelico.
don Rinaldo Sommacal