Omelie

Omelia di don Rinaldo del 3 marzo 2019 - Per Anno VIII (Anno C)

Breve, ma splendente è la seconda lettura. Paolo apostolo proclama ai Corinti e a tutti noi la verità della risurrezione finale, corpo compreso. Va per gradi l'apostolo. Prima parla del nostro corpo corruttibile che, punto dal pungiglione del peccato, è destinata a morire. Ma subito dopo afferma che la morte verrà "ingoiata per la vittoria".

Stranamente succede qualcosa di paradossale: il peccato causa la morte del nostro corpo, ma la morte corporale a sua volta vince il peccato. Sconfitta la morte morendo, il nostro corpo si rivestirà di incorruttibilità e di immortalità. Ma tutti questi effetti strabilianti suppongono una causa prima e ultima. Chi dà alla morte il potere di configgere la morte? Chi trasforma la morte corporale in una rinascita immortale? Paolo apostolo lo dice con questa ammonizione: "Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo".

La prima e la terza lettura ci portano invece sui sentieri aperti dal vangelo della scorsa domenica che lanciava il primato della carità, dell'amore. La parola di Dio oggi si rivolge al singolo, a me, a te e fa riflettere sul "come" si deve esercitare l'amore verso il prossimo.

Nel Siracide troviamo un richiamo tanto evidente da venir spesso dimenticato. Possiamo formularlo così: quando devi parlare, agire, scrivere prendere una qualche decisione seria, prima rifletti. Riflettendo, vedrai quante cose dovrai scartare, gettare, cambiare... di quelle che ti erano venute alla mente d'istinto, soprattutto dopo un piccolo o grande turbamento, sia lieto, ma ancor più se triste. Sì, è vero.

Tutti dobbiamo confessare di avere nella vita commesso errori, a volte piccoli, a volte grandi, per aver agito di impeto, per aver parlato di getto, per aver scritto frettolosamente, senza aver prima ponderato, riflettuto, vagliato, purificato, soppesato. Molte delle inimicizie fra persona e persona, tra parenti, tra famiglie, tra enti… sono nate esattamente per imprudenze dette, fatte o scritte. Se ti dicono dieci parole buone, si e no che le ricordi fino a sera. Se ti dicono una parola storta, te la porti dentro, e con rabbia, e per sempre.

"Agita il vaglio" ti suggerisce il Siracide, e ti verranno agli occhi molti "rifiuti". Cioè: più un uomo riflette, più gli appaiono chiari gli errori da evitare. Impariamo a riflettere prima, poi a dire, a fare.

Nel vangelo Gesù torna sulla correzione fraterna, con più insistenza, per farci crescere ed essere adulti nell'amore e perché non abbiamo da compiere, nel nome dell'amore, dei veri disastri. Il cieco non può guidare un altro cieco. Uno che non sa amare veramente, non può riprendere un altro che non ama.

Chi invece si purifica interiormente, seguendo la strada del maestro, cioè di Gesù, e avrà cercato di imitarlo, fino ad essere più esperto di misericordia che di vendetta, allora avrà conseguito la patente per pilotare, senza incidenti, la correzione fraterna. Infatti, fin tanto che nel tuo occhio ci sono travi contro la carità, non puoi dare lezioni di verità. Per correggere un fratello, prima bisogna amarlo. Se è difficile amarlo, almeno non odiarlo, non nutrire rancore, non lasciarsi spingere dalla vendetta. Quante apparenti correzioni fraterne altro non sono che autentici siluri di rabbia. Possono anche essere veri.

La pagliuzza nell'occhio di tuo fratello c'è. A volte può esserci anche una vera e propria trave. Ma nella logica del vangelo la verità non va usata come clava, come spada, come bomba. Se non ami non puoi mettere mano alla verità. Infatti in Dio verità e amore sono la tessa cosa. Solo se ami puoi correggere. Se non ami, con la sola verità poterti commettere anche un omicidio. "Veritas  in caritate" recita anche il motto del vescovo Vincenzo.

don Rinaldo Sommacal