Omelie

Omelia di don Attilio del 9 settembre 2018 - Per Anno XXIII (Anno B)

Essere sordi, nella Bibbia, significa non accogliere il messaggio di salvezza di Dio. È Israele, di solito, a manifestare sordità, come ci ricorda la prima lettura di Isaia. Anche noi, travolti dalla mille cose da fare, attorniati da rumori, da chiacchiere, da opinioni, fatichiamo ad ascoltare il desiderio profondo di senso che portiamo nel cuore, fatichiamo a cercare Dio. Proprio come accade al protagonista del vangelo di oggi, un sordo muto, uno che non riesce a farsi capire, che stenta a relazionarsi, destinato ad una chiusura al mondo esterno. Immagine dell'uomo contemporaneo, solo e narcisista, smarrito e alla ricerca di una qualche visibilità, tutto incentrato nella propria  realizzazione.

L'insoddisfazione è la caratteristica principale dell'uomo post-moderno. E la nostra.

La guarigione del Vangelo di oggi, fa esclamare alla folla: ha fatto bene ogni cosa, ha fatto vedere i ciechi, ha fatto udire i sordi! 

Questo sordomuto è condotto da altri a Gesù. Sono sempre altri a condurci a Cristo, a parlarci di lui, a indicarcelo. La Chiesa, a volte incoerente e fragile, è la compagnia di coloro che conducono a Cristo. È questa la funzione della Chiesa, a questo "serve"la Chiesa: a rendere testimonianza al Maestro. Ma, lo sappiamo, ci vuole umiltà per farsi condurre.

Il nostro mondo ha fatto dell'arroganza uno stile di vita: alle volte ci persone che sanno tutto, che pontificano, che giudicano, specialmente le cose concernenti la fede, ma che non sanno davvero mettersi in discussione. Del Vangelo sappiamo già tutto: ci siamo sorbiti quattro anni di catechesi, cosa c'è altro da imparare? Nulla, perché la fede è anzitutto incontro. E dopo l'incontro, l'amore spinge alla conoscenza.

Ma per incontrare occorre muoversi, uscire dalle proprie certezze. Gesù porta il sordomuto in un luogo riservato. In mezzo al caos quotidiano e alla folla non riusciamo davvero ad ascoltare. La ricerca di fede avviene personalmente, cuore a cuore, in un atteggiamento reale di accoglienza. Dio ci parla ma, per accoglierlo, occorre fare silenzio.

Gesù compie dei gesti di guarigione: sospira, tocca la lingua del malato. Allora si pensava che la saliva contenesse il fiato, Gesù intende trasmettere il proprio spirito all'uomo, e vi riesce.

La nostra vita di fede ha bisogno di segni, di concretezza, di sacramenti. La fede scoperta è vissuta e celebrata, fatta si gesti in cui riconosciamo l'opera del Signore per noi, per l'umanità. Se siamo guariti è per annunciare agli altri la nostra guarigione profonda. In Marco, però, Gesù impone il silenzio. Perché?

Gli esegeti ci suggeriscono che, forse, Gesù non voleva essere scambiato per un guaritore qualunque. La guarigione è sempre segno ed esplicitazione di qualcosa di profondo. Abbiamo bisogno di cristiani, di annunciatori di speranza, di credenti riconciliati. Noi che abbiamo udito le meraviglie di Dio possiamo proclamare come la folla: ha fatto bene ogni cosa.

don Attilio Zanderigo