Omelie

Omelia di don Attilio del 25 marzo 2018 - Domenica delle Palme (Anno B)

Una settimana diversa, “santa”: la settimana che oggi iniziamo, così grande, così importante da essere chiamata santa, è il gioiello dell'anno liturgico, una perla troppo spesso dimenticata da noi cristiani. La Chiesa si ferma stupita a meditare sulla misura dell’amore di Dio. Durante la settimana santa ci si ferma, giorno per giorno, ora per ora,  su quel momento cruciale per la storia dell'umanità, ci sediamo ad ammirare il volto di Dio.

Fermi, zitti: Dio si prepara a morire, Cristo celebra la sua presenza nell'ultima Pasqua, la nuova, è arrestato, condannato, ucciso, sepolto, risorto.

In questa preziosa settimana, qualunque cosa faremo, in ufficio, a scuola, a casa, potremo fermarci, socchiudere gli occhi e pensare a Cristo, ai suoi sentimenti, alla sua angoscia, alla sua bruciante passione, al suo desiderio. Ora per ora assisteremo, con gli occhi della fede, allo spettacolo di un Dio che muore per amore. E questa settimana inizia oggi, domenica delle Palme, colma di tanti ricordi.

Ironia dell'incoerenza umana: le stesse voci, le stesse braccia, non più con le palme aperte verso il cielo, ma con i pugni serrati, trasformeranno la loro gioia per il Messia, in un’invocazione terrificante, in un’agghiacciante grido di morte: "Crocifiggilo!".

Eppure da quella croce pende il destino dell'uomo, con quel sangue è firmato il patto dell'Amicizia eterna di Dio, in quel pane è conservato il Cuore di Colui che desidera ardentemente di mangiare la Pasqua con noi. Su quella croce si consuma la follia di un uomo che inchioda Dio perché in Lui vede un concorrente, non un compagno, la fragilità dell’essere umano che rifiuta un Dio così arrendevole è ormai manifesta.

Un re  che entra a Gerusalemme cavalcando un asinello e non un cavallo bianco, un re oltraggiato e preso in giro da annoiati soldati romani, un re che suscita la compassione e il disprezzo dell’irrequieto governatore Pilato. Che razza di re, senza armate, senza potere. Dio ha scelto di stare dalla parte degli sconfitti, dei dimenticati. Un re nudo, appeso ad una croce, crudele trono, cinto da una corona di spine, un re talmente sconvolto da avere necessità di un cartello che lo identifichi, che lo renda riconoscibile almeno alle persone che l’hanno amato.

Questa è la festa che celebriamo,dove diamo spazio alla meditazione, allo stupore. Questo è il nostro re. .Un Dio che rischia, un Dio che – per amore – accetta di farsi spazzare via dall’odio e dalla violenza. Questo è il nostro Dio, un Dio amante, un Dio ferito, un Dio che fa dell’amore l’unica misura, l’ultima ragione, la sola speranza.

Cerchiamo di identificarci almeno un pò in quel Centurione straordinario, di cui la storia ha taciuto il nome, che davanti al modo di morire di Gesù, di fronte al dono di sé fino alla fine, rimane stupito, turbato, scosso fino nell'intimo e riconosce in lui il Figlio di Dio.

Ecco la fede, la grande fede, che può sgorgare nel cuore di ciascuno di noi: davanti all'uomo crocifisso, davanti alla sconfitta più assurda, davanti alla delusione di un sogno massacrato, riconoscere la potenza del Dio immortale. Allora potremo cantare, con la liturgia del venerdì santo: "Dio santo, Dio forte, Dio immortale, abbi pietà di noi!".

don Attilio Zanderigo