Omelie

Omelia di don Attilio del 18 marzo 2018 - Quaresima V (Anno B)

E cerchiamolo in noi stessi, Dio, ritagliando degli spazi di silenzio e di preghiera, perché, come dice bene Geremia, ora la legge è scritta nei cuori, ora il percorso è inscritto in noi. Non abbiamo bisogno che altri ce lo indichino. Gesù è diventato uomo, fino in fondo, sul serio, perché potessimo incontrarlo e farci accompagnare verso il Padre.

"Vogliamo vedere Gesù". Sono i greci, i pagani che simpatizzano per religione ebraica, che salgono a Gerusalemme per avere l'illuminazione, per capire, per credere. Qualcuno ha parlato loro di Gesù e vogliono incontrarlo. E approfittano di Andrea e Filippo, il cui nome tradisce una provenienza straniera, per avere un incontro.

Anche a noi accade così: è la curiosità a spingerci verso Dio. Crediamo di conoscerlo da tempo e, invece, non lo abbiamo mai veramente incontrato. Abbiamo la testa piena di parole e di idee su Dio e corriamo il rischio di passare l'intera vita a credere di credere. La fede è il desiderio di un incontro, di quell'incontro. Vogliamo vedere Gesù, anche noi, ma questo incontro avviene solo attraverso la mediazione, a volte povera e affaticata, di uomini come Filippo e Andrea.

Sono i discepoli, ancora oggi, a farci incontrare il Signore, a indicarcelo. E ciò che Gesù dice ai greci è sconcertante, è una nuova logica: la logica del dono di sé. E noi discepoli, sconcertati, meditiamo questa parola luminosa e inquietante: per vivere, spesso, dobbiamo affrontare una morte. E questo ci spaventa.

Siamo convinti che la miglior vita possibile sia quella senza guai. Senza intoppi. Senza sofferenza. Beati quelli che sanno usare il prossimo con spregiudicatezza. No, non è così. Il Signore ci dice che se vogliamo avanzare, rinascere, dobbiamo prepararci a morire a qualcosa.

È vero: lo sposo "muore" al suo egoismo per dedicarsi alla sposa. La sposa si dona sacrificando la sua libertà per dare alla luce un figlio. Il volontario si dona dedicando il suo tempo libero all'ammalato. Eppure tutti questi gesti danno luce ad una dimensione nuova, all'amore, ad una nuova creatura, alla solidarietà.

L'immagine del parto dice bene questa logica intessuta nelle cose: le doglie sono necessarie per dare alla luce una nuova creatura.

Certo: accettare questo discorso è difficile. Quando stiamo soffrendo non pensiamo alla vita che ne scaturirà. Quando stiamo male facciamo fatica ad intravedere il dopo. Quando siamo al buio e al freddo della terra come il chicco non pensiamo a un Dio misericordioso, ma a un despota che permette la nostra sofferenza.

Gesù ha paura di questo momento, è turbato quando vede i greci arrivare; sa che la sua ora si avvicina. Eppure ne capisce il disegno, la necessità, e accetta di morire. Per amore, solo per amore. Abbiamo il coraggio di morire a noi stessi, come ha fatto il Signore. Di imparare ad obbedire alla realtà, per portare frutto.

Allora, e solo allora scopriremo quanto Dio ci ama, e vedremo, oggi, nel cuore, con lo sguardo della fede, il Signore Gesù.

don Attilio Zanderigo