Omelie
Omelia di don Rinaldo del 14 ottobre 2018 - Per Anno XXVIII (Anno B)
La prima lettura appena ascoltata ci presenta la preghiera di un vero credente. La sua fu una preghiera di domanda. Non sappiamo cosa chiese, ma sappiamo quale fu il primo dono che Dio gli concesse. Con sorpresa Dio gli elargì la prudenza. Il pio israelita continuò la preghiera. Dopo la prudenza gli venne infuso il dono della sapienza. Inebriato da questo dono esclamò: “La preferii a scettri e a troni. Stimai tutto l’oro al suo confronto come un po’ di sabbia”. Continuò: “L’ho amata più della salute e della bellezza. Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni”.
C’è da leggere, rileggere, riflettere e meditare su questa preghiera e sulla pedagogia che scaturisce dal dono divino della sapienza. Una domanda ci facciamo: “Oggi quale genitore, quale maestro, quale insegnante, quale educatore sportivo, quale amministratore, quale datore di lavoro al suo figlio, al suo alunno, al suo seguace politico, al suo dipendente, ai suoi educandi consiglierebbe di chiedere per prima cosa la prudenza e di lasciarsi guidare, poi, dal dono della sapienza?”
Abbiamo la netta sensazione che oggi vengano indicate, come cose da chiedere e a cui tendere con tutte le forze, non la sapienza, ma la ricchezza, la salute, la bellezza, il piacere, la notorietà, il potere, ecc. Quando non è né la sapienza, né la prudenza a guidare gli educatori, allora può succedere di tutto, soprattutto che si cerchino egoisticamente i suoi doni ma si dimentichi il Donatore. Mettere al primo posto l’avere non è progresso vero, non è vera saggezza, sapienza vera.
Ma dove abita la sapienza che ha come ancella la prudenza? La sapienza non è una cosa che si può barattare. La sapienza vera è Dio in persona. Ce lo dice la Lettera agli Ebrei. Ma, per farsi dono di sapienza per ognuno di noi, Dio si è fatto Parola udibile e visibile.
Ogni parola di Dio, una volta ascoltata e accolta, si lascia inverare, sbriciolare e personalizzare da chi liberamente la invoca, la sente, la accoglie e, a sua volta, la dona, con tutti i sussidi della virtù soprannaturale della fede, ma che si fa sentire e vedere per mezzo delle nostre sembianze.
Quel Dio, che l’evangelista chiama ‘Parola’, per farsi ascoltare e capire da noi, si incarnò in noi.
Ora che è uno di noi, per essere uno per noi, si umanizza nella nostra umanità e, come Lui è un unico, così consacra la nostra persona a diventare un ‘unum’ unico. La profondità di queste verità trovi in noi un ascolto frequente. Ci farà solo del bene. Ci manifesterà la gioia dell’esserci e di nobilitarci agli occhi dei nostri prossimi con queste meravigliose verità di cui siamo possessori. Ci renderà generosi verso chi ha proprio bisogno di quel dono che io ho, che nessun altro ha e che mi chiede di condividerlo. Imitiamo quel giovane che corse incontro a Gesù, gli si gettò ai piedi e gli chiese: “Maestro buono, io, proprio io che mi sto cibando della tua Parola di vita, dimmi, che cosa devo fare?” Non siamo qui per ascoltare cosa devono fare gli altri per me. Il Dio ‘Parola’ che è in me, se interrogato e ascoltato, mi dirà quello che devo fare io per me e per gli altri.
don Rinaldo Sommacal