Omelie

Omelia di don Rinaldo del 12 agosto 2018 - Per Anno XIX (Anno B)

La prima lettura narra di Elia, un grande profeta. Elia è in un momento di profonda crisi con se stesso, con la sua vocazione, con la sua missione, fino al punto di voler la morte. Ha l’impressione di essere una persona inutile, che la sua predicazione non trovi più ascolto e che il popolo lo abbandoni, preferendo divinità più facili. Elia confessa a Dio il suo fallimento, riconosce i suoi limiti e Lo supplica: “Prendi la mia vita”. Elia è l’esempio della depressione del giusto. È la fragile parte umana, molto presente anche nelle donne e negli uomini di Dio.

Dio non esime i suoi profeti, i suoi sacerdoti, i credenti in Lui dalla prova, quindi anche dallo scoraggiamento. Non c’è profeta vero che non si lamenti con Dio di non essere ascoltato. Gesù stesso fu tentato da satana nel deserto. Nell’orto chiese al Padre che Gli venisse allontanato quel calice amarissimo; dall’alto della croce gridò: “Dio Mio, perché mi hai abbandonato?”.

Che i credenti, dal più semplice a colui che è in autorità, come un sacerdote, un vescovo, lo stesso Sommo Pontefice, sotto il peso della loro missione possano essere tentati di scoraggiamento, non ci deve sorprendere, anzi devono essere annoverati tra i giusti e non tra i fragili. S. Paolo ci dice che è proprio nella nostra debolezza che si vede all’opera la potenza di Dio.

Nello scoraggiamento di Elia c’è, però, una colpa. Si presenta a Dio come un fallito, quasi che predicare la Parola di Dio fosse un affare solo suo personale. Il credente, tentato di scoraggiamento deve sì andare a Dio, ma non per consegnar Gli le chiavi, bensì per dirgli : “Signore ripongo in te la mia causa”.

Ed ecco aprirsi per noi la grande pagina del Vangelo. Davanti a certe inevitabili difficoltà di credere, scopriamo che c’è in noi una presenza nuova, grande, misteriosa, rispettosa, ma decisiva e che ci fa vedere che, quello che prima sembrava negativo, è invece un privilegio che ci viene donato gratuitamente. Ci fa vedere che, quello, che prima sembrava assurdo, è invece una libera scelta che ci fa diventare nuovi, veri e sommamente privilegiati.

Chi è questa presenza che si fa chiamare cibo, pane di vita eterna? È Gesù in persona. Ascoltiamolo attentamente. Gesù zittisce quella enorme folla. La invita all’ascolto, un ascolto non facile. Egli si presenta come cibo e bevanda. Cibo e bevanda già promessi dal Cielo più volte.

Quel Dio che creò l’uomo e, che in Gesù, divenne anche vero uomo, fece sì che divenisse il pane nuovo, capace di trasformare chi lo mangiasse. Niente se! Niente ma! Non è necessario capirlo. Basta crederGli! Chi lo mangia sarà divinizzato.

Risentiamo le parole dette da Gesù allora e oggi rinnovate per noi: “Io sono il pane della vita. Questo è il pane disceso dal cielo. Chi lo mangia, non morirà in eterno”. Discorso che rimane apertissimo. Intanto, per oggi, portiamoci via quel Gesù che ci dice: “Io sono il pane della vita”. Mai sbagliare l’identità di Gesù e, in Gesù, la nostra nuova identità!

don Rinaldo Sommacal