Omelie

Omelia di don Rinaldo del 29 aprile 2018 - Pasqua V (Anno B)

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“Pace a voi” disse il risorto. È sempre bello, ma difficile il tema pasquale della pace. Difficile al punto da agitare fortemente anche la prima comunità apostolica di Gerusalemme. L’ostacolo non fu una dottrina, ma la persona di Saulo, di Paolo di Tarso. Tutti lo conoscevano, ma come colui che aveva perseguitato ferocemente i primi cristiani. Rientrato a Gerusalemme da Damasco, dopo la sua conversione, incontrò scontata la diffidenza e l’aperta ostilità di tutti i cristiani, apostoli compresi.

Fu determinante la mediazione di Barnaba, discepolo di Cristo e da tutti conosciuto, amato, ascoltato e creduto. La sua mediazione ebbe successo. A partire dagli Apostoli, Paolo fu accolto benevolmente e poté andare e venire in Gerusalemme, predicando apertamente il Gesù che prima aveva perseguitato.

Anche la nostra storia ha i suoi bei corsi e ricorsi. Un simile problema lo abbiamo vissuto ieri e lo stiamo rivivendo oggi. Rileggiamolo. Dopo la seconda guerra mondiale i nostri paesi si svuotarono letteralmente dei giovani che presero, per necessità, la via dell’emigrazione, accolti dai paesi ricchi con ostilità, come fossero degli zingari, dei ladri, dei mafiosi. Ma quell’emigrazione fu la salvezza dell’Italia. Oggi la medaglia si è rovesciata. Non siamo più noi ad emigrare in massa. Siamo, invece, invasi dai popoli in fuga dai loro paesi per i motivi che noi in parte conosciamo e in gran parte ignoriamo. 

Come rispondere, da cittadini e da cristiani adulti a tanta enorme e difficilissima emergenza? Non è umano e tanto meno cristiano, dire: “Non tocca a noi. Chiudiamo la porta e con la porta ogni nostro interrogativo”. Questa forse è la vocina vincente che sta entro a ciascuno di noi e non c’è da meravigliarsi.

Non diventi, però, una scelta di coscienza. Quelli che viviamo sono tempi in cui i problemi di tale importanza chiedono guide alte, alla Mosè, che sappiano traghettare il mare di tutte le schiavitù verso la dovuta e vera libertà. La Chiesa, in questa tenzone, deve rispondere: “Presente”. Ma non con il cipiglio di chi impera, bensì con l’umiltà di chi si mette a disposizione sui solchi tracciati dalle “beatitudini’ e onorando le scelte fatte con saggezza, dalle competenti autorità civili e religiose.

Giovanni apostolo non esita a scendere in campo, per dirci con quale arma possiamo superare ogni tipo di conflitti. L’arma vincente non è l’integralismo, ma l’amore fecondo. Non quello proclamato a parole, ma quello vissuto“con i fatti e nella verità”.

La sorgente di questo amore non siamo noi, ma Dio. Dio é l’ agricoltore che semina in tutti noi il buon seme dell’amore. Chi lo accoglie e lo coltiva, certamente, all’occorrenza, amerà e saprà amare nel modo possibile, giusto e contagioso. ‘Ma io non sono mai stato amato da nessuno” può dirci qualcuno. ‘A te risanare la pianta. Se amerai per primo, ti sentirai amato. Anzi, se amerai quella persona, in quella persona, incontrerai Gesù”.

don Rinaldo Sommacal