Omelie

Omelia di don Rinaldo del 4 febbraio 2018 - Per Anno V (Anno B)

Dice Giobbe: “Mi sono toccati mesi di illusione, notti di dolore mi sono state assegnate”. Gli risponde Paolo, il Giobbe del Nuovo Testamento: “Sottoposto a ogni forma di prove e di persecuzioni, mi sono fatto tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno”. Che unisce i due Giobbe e li immedesima a sé, è Gesù, il ponte su cui si incontrano le esasperate domande del primo Giobbe e le serene risposte di Paolo, che ha capito e sperimentato il valore redentivo della sofferenza.

Narra il vangelo appena ascoltato: “Gesù, accostatosi alla suocera di Pietro ammalata, la sollevò prendendola per mano. La febbre la lasciò ed essa si mise a servirli”. Il primo Giobbe è il simbolo di quanti, pur soffrendo, credono, ma, pur credendo, non sanno darsi una risposta del dolore innocente. Sottoposto a prove incredibilmente dure, devastanti e letteralmente sconvolgenti, Giobbe pone al Signore l’eterno interrogativo: “Ma perché? Ma per cosa? Considerandomi sicuramente non colpevole!”

C’è sempre, allora, qualche devoto presuntuoso che crede di avere la risposta facile. Risposta che diventa, più che un sollievo, una sofferenza astiosa in più. Altri ben pensanti sono pronti a dirsi: “Se è così provato, cosa avrà fatto di male?” Certi consigli, di chi sta bene, dati a chi è nell’angoscia, sulle ferite sanguinanti sono più aceto che olio. Giobbe apprezza la condivisione silenziosa dei saggi, ma si ribella con veemenza ai discorsi moralistici di chi pretende di sostituirsi a Dio. Giobbe, pur nel buio del dolore, crede, anzi aumenta la sua fede, anche se diventa, a tratti, una fede aggressiva. Giobbe parla a tu per tu con Dio, lo interroga, e, con coraggio gli muove rimprovero per il suo misterioso silenzio. Si ha la sensazione che Giobbe a volte rasenti la bestemmia. In realtà Giobbe sa che tutto è nelle mani di Dio, specialmente l’enigma della sofferenza innocente. Giobbe non conosce confini. Lo si trova in tutti i tempi, anche tra noi, spesso entro di noi. 

Mentre altri, se appena sfiorati dalla prova, perdono la fede, come il petalo che perde il polline per un soffio di vento, il credente no! Convinto di venire da Dio, che in Lui si muove e a Lui ritorna, quando é chiamato a percorrere la via del dolore, dopo aver espresso tutti i suoi legittimi dubbi e interrogativi a Dio, in Dio si abbandona, certo che la risposta ci sarà, e sarà a suo favore. Il Giobbe, che più di tutti ha il diritto di lamentarsi, è Gesù, il tutto innocente, diventato l’uomo dei dolori. Come uomo, al Dio che era in lui, Gesù gridò: “Allontana da me questo calice amaro. Ma. se non è possibile, sia fatta, o Padre, la tua volontà”. 

Se il Giobbe veterotestamentario stesse bussando alle mie porte, che io faccia mia la preghiera di Gesù, con Gesù: “Padre, allontana da me questo calice. Ma, se non è possibile, sia fatta non la mia, ma la tua volontà”.

don Rinaldo Sommacal