Omelie

Omelia di don Rinaldo del 26 marzo 2017 - Quaresima IV (Anno A)

E’ difficile, anzi impossibile, dell’Anno Liturgico, dire quale sia il tempo più importante. Indubbiamente la Quaresima tende a primeggiare, mettendo al centro ciò che le consegnò il Natale, anelando verso la Pasqua. Ma anche entro la Quaresima possiamo distinguere settimana da settimana, domenica da domenica. Questa premessa, per dire che siamo in un trio di settimane che, sotto l’aspetto della evangelizzazione, sono ai vertici della rivelazione, quindi del nostro attento ascolto, che suppone individuale e comunitaria riflessione, per una nostra risposta  di vita individuale e comunitaria.

Ricordiamole le tre liturgie quaresimali che stanno ai vertici della evangelizzazione, quindi dell’ascolto, per un decisivo passo in avanti verso la comprensione e celebrazione della Pasqua. Se la presente domenica, stando alle letture, possiamo chiamarla la domenica della LUCE, la precedente la abbiamo chiamata la domenica dell’ACQUA viva, in vista della prossima domenica che sarà la domenica della VITA (risurrezione di Lazzaro). Oggi, dunque, é la domenica della luce.

Perché la chiamiamo la domenica della LUCE? Perché non si cada nell’errore, ancora molto diffuso tra noi, di valutare le persone e le cose dalle loro sole apparenze, sia in positivo che in negativo, fino a farne di ciò che appare, o un culto o un rifiuto. Ne è una esplicita conferma la scelta del Re Davide, prima lettura.

Ma è il bellissimo brano dell’evangelista Giovanni, (certamente testimone oculare), ad interrogarci. Brano che penetra le nostre midolla, come si è soliti dire quando si raggiunge una meta sublime, ma difficile.

Cogliamo al volo qualche particolare dell’intenso racconto del miracolo e dello strepito con cui venne valutato, strumentalizzato, glorificato, goduto e proclamato quale segno messianico. Non è il cieco che chiama Gesù. E’ Gesù che avvicina l’ignaro cieco dalla nascita, sapendo che sarebbe diventato una straordinaria cattedra, capace di esaltare le verità nascoste e liberare certi usi e costumi, anche religiosi, da errati insegnamenti. Nascere o diventare ciechi non è a causa di un peccato di famiglia. Ridando la vista al cieco, Gesù proclama parte della sua meravigliosa identità, quando dice: “Io sono la luce”.  Ma chiede al cieco una fiducia totale, che lo porterà alla fede.

Per toglierli le due cecità e ridargli la vista Gesù usa un modo scientificamente assurdo. “Sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco”. Poi chiese al cieco la collaborazione totale. Gli disse: “Va a lavarti nella piscina di Siloe”, luogo frequentato. Si tratta dell’ACQUA zampillante di  domenica scorsa che passa oggi il testimone alla LUCE.  “Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva”.  Il miracolo suscitò commenti, interrogativi e affermazioni di ogni genere. E noi? Senza la luce, siamo tutti ciechi, non vediamo il vero, il bello, il buono. Se per la vista del corpo ci vuole la luce, tanto di più, per dire, ragionare, scegliere e fare, è necessario, anzi urgente incontrare Gesù che mi dice: “Io sono la luce di cui tu hai assoluto bisogno”. Invece quante eclissi di sole oggi per le strade del mondo. Alla domanda di Gesù, facciamo nostra la risposta del cieco che disse “Credo Signore!”.

don Rinaldo Sommacal