Omelie
Omelia di don Rinaldo del 12 marzo 2017 - Quaresima II (Anno A)
Contemplando la calotta celeste nelle notti luminosissime dello scorso febbraio, mi sono trovato a leggerla, sera dopo sera, in tre atti diversi e complementari. All’inizio mi attirava l’individualità delle singole stelle, in gara per essere quella più lucente e palpitante. Poi, lo sguardo si allargò. Le vidi ridistribuite in gruppi significativi, che noi chiamiamo costellazioni. Tra costellazioni vidi in atto la secolare e vertiginosa competizione, ma mai con inimicizia. Da ultimo, ho sentito il bisogno di allargare lo sguardo per stupire nel contemplare l’infinito cielo stellato.
Perché questa introduzione all’omelia di questa seconda domenica di quaresima? Perché, leggendo e rileggendo la pagina della Genesi, la lettera a Timoteo di Paolo e il racconto della trasfigurazione di Gesù sul Tabor, mi è venuto spontaneo di usare il metodo con cui avevo contemplato il cielo stellato.
La Genesi mi presenta e mi parla a lungo e in profondità della singola figura, la più lucente nel panorama della rivelazione veterotestamentaria, la figura di Abramo. Su lui la prima lettura indugia e ci fa dire: “Ecco chi è stato, nel tempo antico, il personaggio che fece di sé, non per sua iniziativa, ma per una chiamata diretta di Dio, il padre che genererà a Dio un popolo che sarà chiamato il popolo del Dio di Abramo prima e di Gesù Cristo poi. Abramo é il scelto da Dio, con il compito di rigenerare l’intero universo umano, facendolo diventare, in mezzo a pallide divinità, colui che portava tutti sul monte Tabor, per sradicare le false divinità e riportare l’umanità, alla riscoperta e alla adorazione dell’unico vero Dio. E’ in Abramo che la nostra religione e fede cristiana riscopre la propria identità. E’ in Abramo e risalendo a Lui che possono ritrovare la stessa origine le tre grandi religioni oggi ancora in lotta più o meno aspra e scandalosa, tra loro. Abramo, al Dio ignoto che lo chiamò e lo invitò a uscire dalla cultura della idolatria, rispose: “Eccomi”. E’ la prima stella che chiedo a me e a voi da riaccendere con entusiasmo entro i mille pensieri e le mille nostre abitudini, che spesso, sotto il profilo cristiano, ci hanno fatto diventare stelle cadenti o semispente.
Proseguendo la meditazione delle letture di questa domenica, risaliamo il Tabor in compagnia dei tre concretissimi discepoli: Pietro, Giacomo e Giovanni. Imitiamo Pietro, che,estasiato, dice a Gesù: “E’ bello per noi stare qui. Restiamoci”. E’ il dono che, almeno una volta in vita, Gesù ha fatto gustare a ciascuno di noi, magari ai tempi della prima comunione, della cresima, del matrimonio, della consacrazione sacerdotale, religiosa o per qualche altra personalissima esperienza.
Ma noi, cristiani non dobbiamo lasciarci attrarre solo dalla ubriacatura del bello e dello sbalorditivo. Dobbiamo, invece, completare l’intero mosaico della Trasfigurazione, quando Gesù annuncia la sua imminente crocifissione e morte ad opera proprio dei degeneri figli di Abramo che, dimentichi del Tabor, si sono ribellati al Gesù del Calvario. Paolo riporta Timoteo e tutti noi, a contemplare l’intero universo del nostro essere storia di salvezza, soprattutto quando siamo dilaniati dalle dannose controversie anche religiose. Solo uniti in Cristo ci si salva. Paolo, ai suoi discepoli di ieri e di oggi, dice: “Figlio mio, soffri con me per il vangelo. Sì! per aspera ad astra!
don Rinaldo Sommacal