Omelie

Omelia di don Attilio del 10 settembre 2017 - Per Anno XXIII (Anno A)

Molti, ancora oggi, identificano il cristianesimo come una religione morale, che ci dice cosa è il bene e cosa è il male e la Chiesa come un'autorevole istituzione che ha il principale il compito, in questi tempi confusi, di ribadire cosa è peccato. 

Una società non educata alla libertà diventa una società anarchica, che rivendica la libertà di provare ogni emozione, che fa diventare la coscienza del singolo l'unico metro di giudizio, diventando schiava delle proprie emozioni. Oggi, ad essere onesti, per sentirsi veramente colpevoli bisogna essere almeno serial-killer! Tutto il resto: l'egoismo, la corruzione, il pettegolezzo, la violenza verbale, la calunnia, la pornografia, sono manifestazioni della libertà personale. 

Molti ancora pensano che un atto sia peccaminoso perché così Dio ha stabilito. Sbagliato: nella Bibbia si dice che un peccato è male perché fa del male. Il peccato non è un'offesa nei confronti di Dio ma nei confronti di ciò che potremmo diventare: un capolavoro. Dio non punisce il peccatore: il peccato ci punisce, facendoci precipitare in un abisso di falsa felicità.

Ma, certo, per vedere le ombre occorre che ci si esponga alla luce della Parola. Nel cuore dell'uomo alberga la falsa idea di un Dio che punisce, che giudica, che controlla. Gesù è venuto a liberarci da questa immagine demoniaca di Dio raccontandoci il volto di un Padre che desidera fortemente il perdono. Perdono che è dono gratuito, possibilità offerta, occasione di rinascita. 

E il discepolo condivide questo perdono. Perdono che, nella miope prospettiva odierna, è visto come una debolezza. Quanto è difficile perdonare! Ci vuole del tempo, una forte fede, una profonda conversione per perdonare chi mi ha fatto del male! È possibile perdonare, dice il Vangelo. E Matteo, oggi, dice come si gestisce il perdono all'interno della comunità.

La prassi proposta da Gesù è piena di buon senso: discrezione, umiltà, delicatezza verso chi sbaglia, lasciandogli il tempo di riflettere, poi l'intervento di qualche fratello, infine della comunità. Quanto siamo lontano da questa prassi evangelica! Ci incontriamo ogni domenica (quando va bene), spesso indifferenti gli uni gli altri, ma mai e poi mai ci verrebbe in mente di occuparci della perdita delle fede di chi ci sta accanto! Altri, invece, se parlano degli errori di qualcuno, ne sparlano, spesso con sadica soddisfazione, senza compassione o delicatezza e più si sentono devoti e più sono feroci.

Se noi, discepoli del Signore, non sappiamo avere misericordia, chi mai ne sarà capace? Se coloro che hanno avuto il cuore riempito dalla nostalgia di Dio non sanno cogliere dietro ogni errore un percorso verso la pienezza, chi ne sarà capace? 

Il criterio del Vangelo è pieno di  buon senso: ti voglio bene al punto che, dopo aver pregato, ti chiedo di interrogarti sui tuoi atteggiamenti. La franchezza evangelica è un modo concreto di amare, di essere solidali, anche con determinazione, come ha fatto Gesù con la Cananea e con Pietro. Nelle nostre comunità abbiamo bisogno di scoprire questo modo concreto di intervenire, di prendere a cuore il destino dei fratelli, senza nasconderci dietro un  rispetto che non ci interpella e lascia il fratello nella propria inquietudine.

Non è ciò che Dio chiede ai suoi discepoli: essere profeti di un modo diverso di amare e di perdonare? Se davvero il Signore ci ha cambiato la vita, ha cambiato anche il modo di vedere gli altri e di occuparmi degli altri. 

don Attilio Zanderigo