Omelie

Omelia di don Attilio del 17 settembre 2017 - Per Anno XXIV (Anno A)

"Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate a vicenda come io ho amato voi". La liturgia ci riprende in questo momento con uno dei temi più “ostici”: il perdono. Alla luce del vangelo, è naturale farci subito un rapido esame di coscienza rendendoci subito conto che, nel migliore dei casi, abbiamo avuto o abbiamo almeno più di una persona con cui ci siamo infuriati per torti subiti o amicizie tradite. E forse, per chiudere rapidamente il discorso, ci abbiamo anche provato ad accordare il perdono. Ma è stato spesso un perdono incerto, che tenta di uscire dal cuore, ma poi precipitosamente vi rientra perché “non è giusto”, si dice.

Anche oggi è Pietro a farsi nostro portavoce, ponendo davanti a Gesù tutta la nostra difficoltà a perdonare sempre. Il “limite” del perdono era una questione discussa anche dai rabbini di allora che ritenevano che si potesse arrivare fino a 3, secondo lo stile di Dio. Così è scritto nel libro di Giobbe: «Avevo peccato e violato la giustizia, ma egli non mi ha punito per quello che meritavo; mi ha scampato dalla fossa e la mia vita rivede la luce». Ecco tutto questo fa Dio due volte, tre volte con l’uomo...” (Gb 33,27-29; cfr. Am 2,4). Pietro con il numero 7 si spinge avanti indicando la possibilità ad accordare il perdono oltre la misura stabilita dai rabbini, ponendo però sempre un limite. La risposta di Gesù va oltre ogni limite dando al perdono un valore illimitato. L’unica misura del perdono è perdonare senza misura: “Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette”. Cioè, sempre.

Ma che senso ha? Perdonare è una sconfitta, vuol dire perdere la dignità: che senso ha perdonare? La risposta è semplice e alta. Perché così fa Dio.

Ed è con queste domande e questa risposta che ci viene offerta la parabola di Gesù. Il servo deve una cifra iperbolica al suo re (50 milioni di euro di oggi), qualcosa che non riuscirebbe mai a pagare, “allora, gettatosi a terra, lo supplica”. E il re prova compassione. Sente come sua l’angoscia del servo. C’è un modo divino di stare al mondo e risiede nella larghezza di cuore: sa perdonare chi è più grande e più forte. È il vero potere: non uccidere, ma perdonare. 

Ma, in opposizione a questo cuore regale ecco il cuore servile: “appena uscito, quel servo trovò un altro servo..”. Appena uscito, non una settimana dopo, non un giorno dopo, non un’ora dopo. Appena uscito, ancora immerso in una gioia insperata, appena liberato, appena restituito al futuro e alla famiglia, appena fatta l’esperienza di un cuore generoso, “preso il suo compagno per il collo lo strangolava". Il servo perdonato non agisce contro la giustizia. È giusto, ma anche spietato: è onesto e, al tempo stesso, cattivo.

Quanto è facile essere giusti e spietati, onesti e cattivi; perché non basta essere giusti per essere uomini, tanto meno per essere cristiani. Giustizia e diritto da soli non bastano a fare nuovo il mondo. Gesù propone l’illogica pietà: “non dovevi anche tu aver pietà di lui come io ho avuto pietà di te?” Perché? Perché avere pietà e perdonare? Per acquisire il cuore di Dio. Perché niente vale quanto una vita.

E allora occorre una dismisura, il perdono fino a settanta volte sette, un eccesso di pietà. Occorre il perdono di cuore. È difficilissimo perdonare di cuore; comporta un atto di fede, non d’intelligenza. Un atto di speranza, non di spontaneità. Perdonare significa non guardare più al passato, ma al futuro. I rapporti umani non sono mai una faccenda dei soli uomini: c’entra Dio. È questa la grandezza dell’uomo, chiamato a fare come Dio, ad agire come Dio, essere uomo di perdono perché un Dio di perdono lo ama e lo riconcilia continuamente con sé.

È il perdono che la sera di un giovedì sarà Pietro stesso a sperimentare, dopo un triplice “no, non lo conosco”. Finalmente sarà guardato dal Signore, in cammino verso la croce, per salvare tutti, perdonando l’umanità, che non sa quello che sta facendo...Così fa Dio con me, con ciascuno di noi: mi perdona non come colui che dimentica il mio passato, ma come colui che mi sospinge oltre, guardando al mio futuro, dandomi fiducia. Eppure questo perdono di Dio diventa efficace solo se l’uomo gli apre la porta del cuore e gli permette di entrare.

E la chiave che apre la porta del cuore è proprio il perdono che siamo capaci di scambiarci reciprocamente. Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori…

don Attilio Zanderigo