Omelie
Omelia di don Attilio del 28 maggio 2017 - Ascensione (Anno A)
Uomini di Galilea, perché continuate a guardare il cielo? Sono stupiti e amareggiati, i discepoli. Il Maestro se ne va proprio ora che, infine, avevano capito il grande disegno di Dio su Gesù, proprio ora che, finalmente, avevano superato il dolore e si erano convertiti alla gioia! Spiazzati, nuovamente. Gesù torna al Padre, e affida l'annuncio del Regno ai discepoli.
Scambio sfavorevole
Uomini di Galilea, perché continuate a guardare il cielo? Quante domande la Parola rivolge al cercatore di Dio. Perché piangi, anima mia, perché su di me gemi? Perché cercate fra i morti uno che è vivo? Dio ci interroga, ci scuote, ci invita ad andare oltre, a crescere, a credere.
Paradosso insostenibile del cristianesimo! Prima ci chiede di credere che il Dio invisibile si è fatto uomo. Ora ci chiede di credere che il Dio accessibile si consegna nelle fragili mani di uomini peccatori e incoerenti! Scambio sfavorevole: invece di incontrare il volto radioso e sereno del Maestro, incontriamo il volto rugoso e segnato dei cristiani...
Cielo e terra
Sono gli angeli a dare la chiave interpretativa dell'evento: non guardate il cielo, guardate in terra, guardate la concretezza dell'annuncio. I discepoli del risorto sono chiamati ad annunciarlo, a renderlo presente. La Chiesa, allora, diventa il luogo dell'incontro privilegiato col risorto, e assolve il suo compito solo quando rende presente il vangelo. Matteo ci dice come.
Dubitarono
Diversamente da Luca, Matteo situa l'addio in Galilea, su di un monte. Monte che rappresenta il luogo dell'esperienza divina: solo chi l'ha incontrato può raccontarlo con credibilità. E in Galilea: il luogo della frontiera,del confine. La terra che per prima è caduta sotto l'invasore, gli assiri. Ai tempi di Gesù dare del galileo ad una persona era un insulto! La Galilea, però, è anche il luogo dove tutto è iniziato, il luogo dell'incontro, dell'innamoramento: solo attingendo alle esperienze che ci hanno convertito possiamo annunciare con verità il Signore.
Ecco cosa significa non guardare il cielo: partire dalla povertà della mia parrocchia, dal senso di disagio che provo nel vivere in un paese rissoso, dall'impressione di vivere alla fine di un Impero che crolla pesantemente sotto un cumulo di verbosità. Qui siamo chiamati a realizzare il Regno, a rendere presente la speranza. Qui, in questa Chiesa fragile, in un mondo fragile. Ma che Dio ama.
E ci rassicura: non siamo soli, egli è con noi. È iniziato il tempo della Chiesa, fatta di uomini fragili che hanno fatto esperienza di Dio e lo raccontano nella Galilea delle genti. Dovremmo non lamentarci, ma rimboccarci le maniche.
don Attilio Zanderigo