Omelie
Omelia di don Attilio del 9 aprile 2017 - Domenica delle Palme (Anno A)
Gesù sale su di un asinello che si inerpica deciso sul fianco della collina, sulla strada che costeggia le imponenti mura, per entrare nella città santa. La gente lo riconosce, alcuni bambini gli corrono innanzi, alcuni tagliano rami di palma e di ulivo, qualcuno grida "osanna". Gesù entra nella città che uccide i profeti.
Siamo talmente abituati alla morte di Dio, talmente riempiti di riflessioni e meditazioni, da avere tutto chiaro, tutto colto, tutto imparato. Non ci serve null'altro. E assistiamo ancora una volta al dono di Dio come se fosse una cosa dovuta, un evento banale, quasi abitudinario.
Gesù è morto per noi. E nessuno sente il bisogno di salvezza. Egli è morto per i nostri peccati. E noi stiamo attenti a sottolineare i peccati degli altri. Ha donato se stesso. E non sappiamo che farcene di questo dono. Avessimo il coraggio di tornare a quei giorni, di riviverli, di lasciarci interrogare e scuotere! Avessimo il coraggio di guardare negli occhi il Signore che ha deciso di donarsi fino in fondo.
Gesù arriva alla fine dei suoi intensi tre anni con un pugno di mosche in mano: l'umanità non ha capito. I suoi discepoli, preziosi e amati, sono fermi alla contraddizione del potere e inchiodati al proprio limite; i capi religiosi avvertono la forza destabilizzante della sua predicazione; la folla segue il vento della moda. Gesù non ha alcuna possibilità di farcela, la sua scommessa è persa. Non è servito, non è bastato, non è sufficiente tutto l'amore che ha donato.
La scelta da fare, ormai, è una sola: andarsene, rinunciare, gettare la spugna. Oppure lasciarsi travolgere, sparire, morire. Lasciare che le tenebre vincano, lasciare che le cose prendano la loro piega, osare. Osare fino a morire appeso ad una croce, fino all'eccesso. Altro è dire: "Dio vi ama!", altro morire. Altro dire: "Il Padre vi perdona!", altro pendere, nudo, da una croce. E perdonare. Una cosa è parlare, un'altra morire. Urlando.
Capiranno, gli uomini? O Dio sarà uno dei tanti sconfitti della storia, dimenticati? La posta in gioco è immensa: l'esistenza stessa di Dio. Quanti crocefissi sono morti nella storia antica? Cinquecentomila? Un milione? Di quanti di loro ricordiamo il nome e la vita? Di nessuno. Gesù accetta, rischia, si dona. Forse sarà tutto inutile, come insinua l'avversario nell'orto degli ulivi. Forse.
L'agonia di Gesù, nell'orto degli ulivi, l'agonia che lo fa sudare sangue, è tutta lì, in quella scelta. Non nel dolore che Gesù deve affrontare, non nel senso di abbandono da parte dei suoi, no. Il dolore, inaudito, che Gesù prova, nasce dal dubbio dell'inutilità della sua scelta definitiva. L'avversario, che torna ora che è giunta l'ora, cerca di scoraggiarlo: "è tutto inutile". Inutile: non vedi che ti stanno venendo a prendere per arrestarti? Inutile: i tuoi stanno dormendo, non hanno capito la gravità della situazione. Inutile, l'uomo non cambierà mai.
Gesù accetta, corre il rischio, si dona. Morirà. Il cuore della passione di Cristo è l'amore, non la violenza. Gesù muore affidando al Padre il proprio cuore, e donando a noi lo Spirito.
Un invito sommesso è questo: Nella povertà delle nostre assemblee, ritagliando spazio e tempo ai nostri mille impegni, cerchiamo di essere presenti. Giovedì sera alla Messa che ci ricorda l'istituzione dell'Eucarestia, venerdì nella grande e sofferta celebrazione della Croce, Sabato nella lunga e luminosa notte della Resurrezione. Tre giorni che ci accompagneranno, spero, a ridire la nostra fede, a riscoprire il dono, a cambiare la vita.
don Attilio Zanderigo