Omelie
Omelia del 28 agosto 2016 - PER ANNO XXII (Anno C)
“Figlio, quanto più sei grande tanto più fatti umile”, ci dice oggi il Siracide (libretto da leggere d’un fiato).
Quanta saggezza in questa lapidaria affermazione. Ma anche quanta difficoltà ad esserlo, a divenirlo: quando, per istinto, siamo portati a cercare la lode; quando si patisce l’isolamento e la mancanza di visibilità e consenso; quando, per non esserci piegati ai voleri di chi è più forte di noi, veniamo derisi, umiliati e cacciati.
L’umiltà non è mai una dote spontanea, ma una conquista continua. ‘Non progredi, regredi est’. Infatti, l’umiltà, per essere genuina, ha bisogno di essere, sempre vigile e nuova, per rintuzzare gli astuti diritti dell’orgoglio, della vanità, della superbia, della vanagloria. Sembra una contraddizione quello che ci dice il saggio israelita. Non c’è, forse un inevitabile rapporto di causa ed effetto, tra l’essere grandi e orgogliosi di esserlo?
Vorrei che fosse qui una delle tante persone che, negli anni del mio ministero, ho conosciuto veramente grandi: donne di famiglia, uomini con professioni tanto nascoste quanto importanti per il bene comune, ma mai glorificate in vita; giovani esemplari che, alla lode risposero con la saggezza dei grandi; malati che hanno risalito la croce come se fosse una cattedra; anziani che hanno saputo incarnare la vera saggezza che fa dell’età non un vanto, ma un dono per tutti, ecc.
Quante persone, di cui nessuno ha mai lodato pubblicamente il nome, furono e anche oggi ci sono entro le nostre comunità; proprio perché umili, sono il vero e preziosissimo lievito che fermenta e fa fiorire il bene comune, che molti ricevono senza sapere da chi e come.
Oggi, (non so se anche nel passato), si è instaurato il profilo più basso della gerarchia delle virtù. Si considera grande chi fa più rumore, o dice pur cose nobili, anche buone, ma urlando e imponendo l’applauso.
Vorrei che silenziosamente, anche noi, avessimo da piegare le ginocchia davanti alle persone, che abbiamo conosciuto o avuto in casa, veramente miti e umili, per dire loro ‘grazie’, pur in ritardo, ma con un affetto e una riconoscenza sinceri. Una delle doti dell’umiltà è anche quella di essere convinti di non aver nulla da insegnare e tutto da imparare. Non dicono mai: “Fa come me”, ma, con il dito puntato in alto, ti dicono da chi, con chi e per chi si scrive la propria preziosa e unica pagina di storia.
Quando faccio queste riflessioni, mi viene spontaneo di guardarmi intorno e di giudicare come si comporta la gente. Questo è un errore che un pastore non dovrebbe mai fare: giudicare gli altri e non interrogare se stesso, che, su questo argomento, ha pagine su pagine critiche da scrivere. Cosa difficile, ma doverosa per un pastore è quella di chiedere allo Spirito Santo, tra i molti doni, quello che consiglio: saper ascoltare e saper capire, per saper consigliare e saper perseverare.
Anche Gesù dice, a noi, invitati alla sua cena, di non esibirci come fossimo sopra gli altri. Se lo ascoltiamo, non ci rivestiremmo mai di orgoglio. Maria, umiltà fatta persona, insegnaci la strada.
don Rinaldo Sommacal