Omelie

Omelia del 15 agosto 2016 - ASSUNZIONE (Anno C)

Ferragosto: ferie di agosto. Sono giornate di vacanza, nel significato latino dell’evadere dal pesante quotidiano. Per noi cattolici predomina la solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria in Paradiso. Tra le molte comunità che la hanno scelta quale loro patrona, c’è anche la nostra Parrocchia che ha la sua sede nella Cattedrale di San Martino.

Inizierò questa breve omelia, rivolgendomi, quale parroco di questa parrocchia, a nome di tutti voi, anche degli assenti e, soprattutto dei più bisognosi, a Lei nostra e mia Patrona: “Maria, Assunta in Cielo, prega per me e per noi che, fiduciosi ricorriamo a Te”. Lascio a voi l’Apocalisse e l’insuperabile Dante parlarci del paradiso, dove Maria gode di uno splendore unico, che nessuna parola umana può contenere e comunicare.

Mi attira, invece, l’incontro, anche troppo dimenticato, oggi riportato dal vangelo di Luca. E’ un incontro che fa da ponte tra la vita di ogni giorno e l’abbagliante  fascio di luce che ci investe e oltrepassa la nostra capacità di capire e di dire. E’ l’incontro avvenuto sulle montagne di Giuda tra Maria di Nazareth, promessa sposa a Giuseppe e l’anziana cugina Elisabetta, discendente di Aronne e moglie di Zaccaria, sacerdote. Attenzione! C’è il rischio, come sempre, di cercare lo straordinario, trascurando le zone d’ombra.

Qui, prescindendo dai convenevoli comuni tra parenti, per capire, però, la parte che Maria ha nella rivelazione, è necessario sostare su ogni parola, su quello che contiene e che è entrata a far parte della Rivelazione. Elisabetta, a questa giovane che bussa alla sua porta, rivolge un saluto che esce sì dalla bocca di una donna anziana, ma che contiene chiaramente una verità che anticipa quello che il magistero della Chiesa dichiarerà solennemente verità di fede qualche secolo più tardi.

Risentiamo il saluto di Elisabetta. “A che cosa devo che la madre del mio Signore venga a me?”. Elisabetta poteva proferire parole gioiose e comuni nel festeggiare la cugina. Invece la sua diventa una professione di fede che per noi ha un contenuto strepitoso. Elisabetta non saluta la cugina solo per il fatto che è una cara parente e che porta in grembo un figlio. Le parole che Elisabetta esclama, proclamano e anticipano questa verità che fa parte del nostro Credo: cioè che Maria non è una mamma tra le tante, ma ‘la madre del mio Signore’. Rivelata la natura divina di quel bimbo che Maria porta in grembo, Elisabetta aggiunge una preghiera di lode e di ringraziamento, anche a nome di tutti noi: “Beata colei che ha creduto”. Pensiamo al disastro se Maria avesse ripetuto Eva. 

Con Elisabetta sgorghi da noi un perenne grazie a Dio per Maria e grazie a Maria per Gesù. Allora comprenderemmo meglio il ‘magnificat’, la sublime, irripetibile risposta di Maria, fatta preghiera universale, preghiera che anche noi conosciamo e che, partendo da oggi, promettiamo di dire, se possibile, ogni giorno.

don Rinaldo Sommacal