Omelie

Omelia del 10 aprile 2016 - PASQUA III (Anno C)

 

Quella che stiamo celebrando è la terza settimana di Pasqua. Gesù, il Risorto, continua nelle sue mirate apparizioni che, via via, vanno tracciando un solco indelebile in coloro che dovevano diventare i testimoni  della vera passione, morte e risurrezione di Gesù, cioè gli apostoli, persone concretissime e non suggestionabili.

La lunga pagina del vangelo, nella prima parte rivela il passaggio ulteriore degli apostoli dalla loro precedente religiosità, alla nuova e imperitura fede in Gesù di Nazareth che, anziché essere il messia capace di realizzare tutte le terrene promesse di un regno politico-religioso, parla di un regno del tutto diverso, a tutti sconosciuto. Di quel regno di cui parla Gesù, gli apostoli, fino ad allora pescatori più o meno fortunati, saranno chiamati a tenere il timone della Chiesa, vista da Gesù come una barca che dovrà affrontare mari tranquilli o tempestosi, ma che sicuramente raggiungerà il porto promesso.

Ma il cuore della pagina odierna del vangelo è, secondo me, l’incontro di Gesù con Pietro. Incontro non cercato, anzi temuto da Pietro. Incontro voluto da Gesù. Dopo aver pranzato con tutti, confermando così la verità che il Risorto è di tutti (per cui tutti d’ora in poi dovranno  predicare Cristo veramente risorto), Gesù invita Pietro a fare due passi. Quando furono soli, a tu per tu, cosa si dissero? 

E’ uno degli interrogativi più preziosi come preziosissima sarà la conclusione del loro colloquio. Pietro è sulle difese. Segue Gesù con il timore che gli venga rinfacciato il tradimento di quella sera, quando giurò di non conoscerlo. Questo timore aumentò in seguito alle tre domande poste da Gesù. Per fortuna, non erano di condanna, ma imbarazzanti per Pietro, sì. Si domandava: perché Gesù insiste a chiedermi: “Mi ami tu, mi ami tu, mi ami tu più di tutti?”. Pietro si rivide nel pretorio il venerdì precedente, quando, per ben tre volte, disse, anzi giurò di non conoscerlo. Pietro, quindi, si aspettava un solenne rimprovero di Gesù. Come capita tra noi, Gesù poteva anche dirgli: “Pietro, non posso più fidarmi di te. Ti tolgo quello che ti diedi, quando ti dissi: “Tu sei Pietro. Su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. Pietro era pronto a buttarsi ai suoi piedi, pentito e dirgli: “Signore, non sono più degno di essere la pietra d’angolo della tua Chiesa. Dà ad un altro le chiavi del Tuo regno, magari a Giovanni che, pur giovane, ci ha dato lezioni di una limpidezza e di un coraggio unici”.

Invece no. Anzi, con l’autorità che gli veniva dall’essere Dio, ad ogni sincera risposta di Pietro, Gesù lo trasumanò e lo rese il supremo Pastore dell’intero gregge. L’unica condizione che Gesù chiese a Pietro, fu: “Mi ami tu?”. Pietro, il peccatore confesso, gli rispose: “Certo Signore, tu sai tutto. Tu sai che io ti amo”. Risposta di Gesù: “Guida al pascolo il mio gregge”. Conseguenza: chi segue Pietro, segue Gesù. Chi tocca Pietro, tocca Gesù.

E il peccato di Pietro? Cancellato. Solo l’amore genera il pentimento e ottiene il perdono. Se uno si pente, ridiamogli perdono e fiducia. Difficile umanamente, ma cristianamente da cercare.

don Rinaldo Sommacal