Omelie

Omelia del 13 marzo 2016 - QUARESIMA V (Anno C)

 

Dice Dio per bocca del grande Isaia: “Ecco io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?”. Al tempo di Isaia, la cosa assolutamente nuova e da anni invocata, era la liberazione dalla schiavitù babilonese, con quanto comportava. Ma c’è schiavitù e schiavitù. Anche oggi, forse più di sempre, attorno a noi ci sono popoli, continenti interi che conoscono le peggiori schiavitù, imposte con le ideologie, con le armi, spesso, in modo assolutamente blasfemo, dichiarandole come “volontà di Dio”.

Quello che Isaia riceve dal vero Dio e predica agli schiavi è tutt’altro che una nuova schiavitù. Come intendere, allora, quella ‘cosa nuova’ promessa e realizzata da Dio, il vero e unico Dio, il nostro Dio?

La “cosa nuova” promessa da Dio va intesa, non come la libertà di fare ciò che più ci pare e piace, ma quale riconquista di tutto ciò che è universalmente buono, giusto, bello, condivisibile, che parte da Dio e porta a Dio. Libertà, non fondata su nascosti egoismi o secondi fini, capaci di servirsi anche della religione.

Libertà che apre la strada che da Dio scende a noi e chiede a noi di rispondere liberamente, non con una babele di piccoli e grandi egoismi, ma con una civiltà illuminata e nutrita dall’amore vero, rigoroso ed esigente, verso Dio, verso il prossimo, verso noi stessi.

Facciamo nostra la promessa divina al popolo in schiavitù. Ognuno di noi si chieda, alla luce della vera e unica Luce, che non ammette nascoste bugie: “Cosa devo fare, io, qui, ora, nel cammino alla Pasqua, all’insegna del tempo santo della misericordia, per permettere a Dio, il Dio di Gesù Cristo, a Cristo, vero Dio, di fare quella ‘cosa nuova?”

Io non posso dire a ciascuno di voi quello che urge fare. Ognuno di noi conosce se stesso. Diventi, quindi, il primo sacerdote della propria coscienza. 

Raggiunta una presa di coscienza del nostro IO, passiamo al secondo stadio della nostra spiritualità quaresimale. Facciamoci interrogare dalla Parola di Dio, depositata entro la nostra coscienza dal sacramento del battesimo, ma spesso ignorata dalla nostra indolenza profetica.

Se la coscienza individuale non riesce a rispondere a tutti gli interrogativi, allora pellegriniamo ai piedi di qualche ministro della Parola e dei Sacramenti. Dopo un breve colloquio, potremo liberare la nostra strada dal buio e trovarci seduti alla tavola del Re. Il padrone di casa, dopo averti lavato i piedi, ti dirà: “Sei mio commensale”. Un padre gode molto di più nel dare che nel chiedere”. Quel misterioso e potente “io ti assolvo” detto anche dal più insignificante dei preti, apre le potenze celesti e sbarra le porte degli inferi. 

Cosa ci dice Maria, mater misericordiae, con i metodi che lei sola conosce e può usare?  Come fossimo i suoi figli prediletti, ci direbbe: “Fate quello che Egli (Gesù) vi dirà”. E Lui, obbediente alla mamma, ci dirà: “Nessuno di voi è senza peccati! Non condannate! Piuttosto, riempite di misericordia i vostri cuori!”. 

don Rinaldo Sommacal