Omelie

Omelia del 28 febbraio 2016 - QUARESIMA III (Anno C)

 

Dio ci parla. Ci parla in continuazione. Ma come? Dio che è per sua definizione IO SONO la PAROLA, ci parla al presente, ci parla ogni volta che noi bussiamo alla sua porta, specialmente se bussiamo con  l’onnipotenza della Liturgia, come ora. La Genesi narra la creazione  con un genere scolastico, definendola creatura della onnipotente Parola di Dio. Quella Parola pronunciata da Dio miliardi di anni fa, per noi è Parola presente ora  e ora all’opera. Se Dio non fosse l’IO SONO, ma solo una nostra poetica invenzione, noi saremmo qui a raccontarci una favola. 

Invece Dio è qui, poiché è l’eterno  presente. Dio è  l’Alfa, cioè il perenne inizio di ogni inizio;  é l’immortale nostro futuro nell’eterno presente di Dio. Ed è con questo stupore (che ci rende timidi nell’affermare tali verità), che bussiamo alle pagine della Parola di Dio da poco attentamente letta e  ascoltata. L’abitudine ci porta a svuotare del loro valore le cose che vediamo o facciamo meccanicamente, quotidianamente. Non è così di Dio, né dei doni che in continuazione Dio  semina in ogni essere creato. Ci parli anche una sola goccia d’acqua! 

Mosè, ormai inserito nella comunità di Ietro nella valle del Sinai, si dedica a pascolare il bestiame del suocero. E’ vivissimo in lui il ricordo del suo recente passato: magnifico e drammatico ad un tempo. Mai si sarebbe inventato di ridiscendere in Egitto per incontrare il Faraone che aveva decretato su lui la pena di morte. Mentre distrattamente sta guardandosi intorno, lo incuriosisce un fatto, prima ritenuto normale,  poi interessante, quindi miracoloso. Quella montagna è piena di cespugli e di roveti. Uno brucia. Ma il fuoco non consuma il roveto. Mosè, curioso, si avvicina. Una voce tuonante gli fa capire che é alla presenza di Dio.

Il resto lo conosciamo, fin dal catechismo dell’infanzia. Ma ciò che mi preme dire, a me ed a voi, è questo: nulla di ciò che calpesto, che vedo, che colgo, che accarezzo, che violento nei confronti degli altri, di me stesso, delle cose anche le meno appariscenti, è lì per caso. Tutto può parlare, insegnare, correggere, proporre, convalidare o far cambiare tutta o in parte la mia vita.

Batte la stessa pista anche la strana, enigmatica parabola evangelica del fico che non dà frutti. Cosa voleva dire Gesù con quel insolito, duro e imperativo “taglialo”? Da ignorante non mi azzardo di farne una esegesi. Posso solo ipotizzare una conclusione simile a quella a cui arrivò Mosè: cioè che ogni tempo, ogni cosa, ogni persona, ogni evento, ogni gioia, ogni dolore, ogni interrogativo, che sono come l’aria che respiriamo, ci sono e ci saranno sempre e con uno scopo.

Se ci ascoltassimo alla luce di Dio, quante volte sentiremmo la coscienza dirci: ‘Pota’ o ‘Taglia”. Paolo apostolo ci avverte: “Chi crede di stare in piedi (come il fico), guardi di non cadere”. Siamo per Dio piante da frutto, ma dove sono i frutti? Lo dico seriamente e prima a me stesso.

don Rinaldo Sommacal