Omelie

Omelia del 21 febbraio 2016 - QUARESIMA II (Anno C)

 

Mi permetto di paragonare i tre splendidi brani, (gratuitamente carichi di tesori inestimabili, spesso forse un po’ troppo alti per la nostra comprensione), a tre fiumi che attingono l’acqua alla stessa sorgente e che vengono  a dissetare e vivificare la nostra vita, in modo del tutto personale, individuale, ma anche comunitario,  generando positivamente i nostri pensieri, le nostre opere, le nostre stesse parole. Tre i fiumi: Abramo, Paolo e Gesù.

Cosa ci dice la pagina che ci presenta Abramo, capace di credere anche a ciò che cozza contro ogni logica umana? Nell’età della sua maturità obbedì a Dio, al vero Dio. Ora che è molto avanti negli anni ed ha una moglie sterile, torna a obbedire a quel Dio, per il quale ha abbandonato il suo passato di idolatra, per immergersi in una avventura sempre al di là delle logiche umane. 

Il suo Dio, che è il nostro Dio, sarà sempre unico e diverso dalle altre divinità che, per attirare seguaci, promettono facili e bugiardi paradisi terrestri. Il Dio di Abramo, il nostro Dio non promette mari e monti. Anzi, per innalzare la preziosità e unicità della sua fede, propone ad Abramo ciò che è impossibile all’uomo, ma possibile solo a Dio. Lo considera di stirpe divina. Il SI di Abramo a Dio, altro non è che il SI di Dio ad Abramo e alla sua discendenza. Nella sterilità umana, da Abramo vissuta nella speranza e mai nel dubbio, irrompe Isacco, il figlio della miracolosa fecondità divina.

Con questa fede di Abramo, facciamo un passo in avanti. Attraversiamo il secondo fiume della fede, germinata dall’unica sorgente che  è il Dio di Abramo, il nostro Dio. Passiamo a Paolo che mi dice: “Se vuoi essere plasmato nella fede di Abramo, per cui puoi chiamarlo Padre, allora scopri di essere stato pensato e fatto sì con abiti di creta, ma dal tuo Creatore, dal tuo Vasaio, considerato suo figlio". 

San Paolo, in un momento di estasi, in un modo del tutto insuperabile, ma contagioso, attraverso Abramo, si tuffa in Dio, ricevendone la figliolanza. Paolo, poi, sapendo che ciò che siamo e in cui crediamo, è dono, è gratuità, è comunione, è condivisione, dice a noi, smemorati: “La nostra cittadinanza è nei cieli… Cristo trasfigurerà il nostro misero corpo, per conformarlo al suo corpo glorioso”. Cioè: siamo nel mondo, ma non del mondo. Paolo o ci dice bugie, da invasato e superstizioso, o ci dice la verità. 

Gli viene in soccorso lo stesso protagonista di questo passaggio genetico dalla natura umana alla natura di figli di Dio. Chi è questo nuovo Isacco che, obbediente al Padre, si lascia aprire il costato, per diventare per tutti la sorgente perenne della nuova vita? Chi, quindi, ci fa cittadini del cielo e figli del Dio di Abramo? E’ Gesù! Tutti lo conosciamo, tutti gli crediamo. Perché questo nostro SI sia al di sopra di ogni dubbio,  Gesù ci manifesta la sua divinità sul monte Tabor, dove Dio Padre disse e dice a noi, ora: “Questi è il Figlio mio, l’eletto. Ascoltatelo”. E’ quello che cerchiamo di fare.

don Rinaldo Sommacal