Omelie

Omelia del 24 maggio 2015 - Pentecoste (Anno B)

Omelia nella Basilica Cattedrale

Pentecoste! Festa antica, festa meditata e contemplata, festa memorizzata, festa sbiadita nel tempo, festa da ri-attualizzare se vogliamo ancora essere cristiani di nome e di fatto. 

Perché? Perché Pentecoste realizza nel tempo la cristificazione nostra e del creato, per opera dello Spirito Santo. Lo promise Gesù e Gesù, sempre fedele alle promesse, lo avviò nel giorno della Pentecoste ebraica. Dio, che, per opera dello stesso Spirito, diede inizio alla sua incarnazione, la rende perenne e progressiva con la presenza e l’azione dello Spirito Santo. A Pentecoste, quel Gesù che ascese in Cielo, ridiscese come Spirito, che gli permette di essere tutto ovunque ed in ogni tempo.

La discesa dello Spirito Santo sopra gli apostoli, riuniti con Maria nel Cenacolo, scelse l’abito del clamoroso: un fragore, un vento impetuoso, lingue di fuoco, ignoranti diventati poliglotti, ecc. Fu esattamente il contrario rispetto alla prima discesa dello Spirito Santo, protagonista ancora, e solo, Maria. Per sottolineare che, per Dio, farsi uomo, richiedeva un  suo annientamento, il Verbo si fece carne nel più assoluto silenzio, notizia sfuggita persino a Giuseppe.

Cosa si prefigge Gesù con il suo ritorno a noi come  Spirito, che chiamò ‘Consolatore’, ‘Verità tutta intera’? Si prefigge di continuare il suo ardito progetto, quello di fare di noi la sua famiglia, ricevendo a nostra volta, come Maria e come gli apostoli, il dono del suo Spirito, la persona divina che, se accolta, divinizza.

Porte sempre aperte dalla parte di Dio. Ma non si possono varcare se prima non si siano gioiosamente aperte le nostre porte allo Spirito Santo. Ed ecco da parte nostra interpretare, ora misticamente, ora teologicamente, ora nella più assoluta semplicità, l’azione dello Spirito Santo in noi, nella Chiesa, nel creato. La liturgia chiama lo Spirito Santo ‘DONO’. Dono che si fa, all’occorrenza e, a seconda delle nostre originali capacità e bisogni, ‘sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timor di Dio’.

Un antico padre della Chiesa, in una lezione di catechismo, paragona lo Spirito Santo alla pioggia e dice: “Per quale motivo la grazia dello Spirito è chiamata acqua? Certamente perché tutto ha bisogno dell’acqua. L’acqua della pioggia…scende sempre allo stesso modo e forma, ma produce effetti multiformi…" La pioggia si adatta alle esigenze degli esseri che la ricevono…e diventa per ognuno quel dono di cui abbisognano. Allo stesso modo anche lo Spirito Santo, pur unico, distribuisce  ad ognuno la grazia come vuole… Lo Spirito Santo porta grappoli di giustizia. Lo Spirito, per disposizione divina, e per i meriti di Gesù Cristo, opera effetti molteplici… Mite e lieve il suo avvento, fragrante e soave la sua presenza, leggerissimo il suo giogo. Giunge come fratello e protettore. Viene, infatti, a salvare, a sanare, a insegnare, ad esortare, a rafforzare e a consolare.” Se così è, così sia per nostra libera scelta.

don Rinaldo Sommacal

 

Omelia alla cerimonia per il centenario dell'inizio della grande guerra, in riva al Piave

Giuseppe Zilotti, amico da antica data, ispiratore di questo straordinario anniversario; autorità, signore e signori, che avete risposto, come sempre, così numerosi e partecipi: un caloroso, sincero e prezioso benvenuto da parte della Cattedrale che vi ospita con gioia, Cattedrale, simbolo della casa comune, casa dei credenti, dei praticanti, ma anche  di quanti chiedono di essere una sola e grande famiglia umana, sia nei momenti gioiosi che dolorosi. Caloroso, perché finalmente si viene a celebrare, in pace, la pace, dono senza il quale ogni altro dono svapora. Sincero, poiché di bugie siamo nauseati e non vogliamo mai più vederle discendere dagli alti scanni, rivestite di false promesse. Prezioso, poiché la vita è il dono che ognuno di noi ha ricevuto gratuitamente e che ogni guerra ruba a innumerevoli persone innocenti. 

Sì! Abbiamo bisogno di celebrare un  ‘grazie’ sincero per il dono della vita, da vivere in pace. Un  ‘grazie’, sottolineato così bene dal Coro minimo. Il ‘grazie’ che diciamo nel giorno in cui la comunità cristiana celebra l’evento della Pentecoste che rinnova in noi la coscienza che siamo nobili figli dell’uomo e non del caso, dal Creatore chiamati a diventare, in Cristo, concittadini del Cielo e partecipi della Sua famiglia.

Il nostro Dio, il Dio di Gesù Cristo, ci dà un solo comandamento: quello di amarci, di amare e di amare in modo dinamico. Dio ama per primo, ma vuole anche essere gioiosamente amato e non temuto, né odiato, né bestemmiato, né dimenticato, né accusato di colpe non sue, ma nostre. Nei nostri confronti, Dio ha due movimenti interconnessi: una perenne discesa per una perenne risalita.

Se Dio non fosse soffio di vita, noi saremmo una immobile e sprecata barca a vela. In cambio chiede a noi di accoglierlo, a vele spiegate, lievitando verso l’alto, verso traguardi a cui porta l’amore vero, l’amore sudato, l’amore purificato. Infatti amare ed essere amati non è facile. Ma dove regna l’amore, lì mai scoppieranno le guerre. Noi vogliamo ‘essere’ questo e questo ‘dire’, oggi e sempre.

La rosa rossa che tra breve benediremo e getteremo sul fiume sacro, il Piave, sia un inno di ringraziamento verso i nostri padri che immolarono la loro vita in una guerra, subita e riscattata con la dignità dei martiri. Il rosso della rosa parla di martirio innocente, ma anche di amore generante. Quel gesto che faremo dica al mondo intero: “Sì che vogliamo spenderci per un mondo  in pace!

L’esperienza ci insegna che la pace è la figlia primogenita dell’amore. A don Gemo, direttore del Coro minimo, si affianca Gesù, il maestro dei cori angelici, per cantare insieme l’inno dall’amore: “Amatevi fratelli come io ho amato voi”. Amen. Mai più guerre, né tra noi e noi stessi, né entro le nostre famiglie, né nelle nostre comunità, né sul pineta terra, uscito un dì lontano da un SI’ di infinito amore.

don Rinaldo Sommacal