Omelie

Omelia del 15 novembre 2015 - Domenica XXXIII per Anno (B)

 

L’anno di grazia 2014-2015 si concluderà domenica prossima con la solennità di Cristo Re, nelle cui mani siamo chiamati a restituire quel regno che Dio ha posto con trepidazione e fiducia, nelle nostre mani. Subito un interrogativo: “Vi abbiamo noi collaborato, riconoscendo e attivando la nascosta vocazione che Dio ha posto in noi con il Suo soffio della vita?” Ecco uno dei molti interrogativi che possiamo scoprire nella liturgia della Parola di questa penultima domenica.

Sono forti, anche paurose e terribili le letture che abbiamo ricevuto, letto e che ora stiamo interrogando. Perché questo tono duro e pauroso, che scende dall’alto e pervade l’intero orbe terrestre, ma anche il nostro animo? Perché il vigile arcangelo Michele sorgerà per difendere i figli di Dio dalle zanne dei predatori di vite? Perché ci ‘sarà un tempo di angoscia?’ Cosa significa il ‘risveglio di quelli che dormono nella regione della polvere, o per la vita eterna, o per una vita di vergogna?’ Non bastasse, anche Gesù, il più pacifico degli uomini, si mette a parlare in un modo mai udito prima? Profetizza  giorni  di tribolazione, catastrofi cosmiche. E, perché non si pensi ad un suo delirio, Gesù afferma: “I cieli e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. Come conciliare queste parole roventi, anche giurate, con le innumerevoli altre dove Dio si proclama: “Lento all’ira e ricco di misericordia?”.

Ecco una mia umilissima, forse debole interpretazione: certamente il Dio che noi conosciamo e che Gesù chiama  ‘padre nostro’, è per sua natura unicamente buono, quindi misericordioso, sempre! Con Tutti! Ma il problema circa ‘l’ira ventura’ non riguarda Dio, bensì l’umanità nella sua totalità e ogni singola persona.

Adamo stracciò la vantaggiosa alleanza propostagli dal suo Creatore, che gli diede una natura simile alla sua. Gli disse: “Ricordati che quello che è mio, è anche tuo, purché, però, tu riconosca che non sei colui che dà, ma colui che riceve, con un’unica legge da osservare scrupolosamente, la legge dell’ amore: amare Dio, amarsi e amare il prossimo, procreandolo per e con amore”. Avendo l’uomo tradito il suo Creatore e Padre, da allora Adamo, cioè noi, ne abbiamo combinate di tutti i colori.

Non è il pio, l’umile, l’amante, il buono, il santo che devono temere l’incontro finale con Dio, bensì chi ha obbedito al serpente tentatore che gli dice: “Sei libero. Goditi la libertà. Tu, e tu solo, sei il padrone di te stesso, sei un dio che crescerà più si allontanerà da Dio e più metterà creato e creature sotto i suoi interessi". Come possono costoro affrontare serenamente la morte, e l’incontro inevitabile con Colui che prima li ha creati e poi redenti, pagando il loro debito con il prezzo che tutti ben conoscono. Per dare un ultimo aiuto a questi impenitenti, ecco l’arma apocalittica della paura, dello spavento. Chi ammette di essere un peccatore non teme, ma ama Dio.  Ma quanti lo hanno rinnegato e continuano a rinnegarlo, hanno bisogno, come grazia finale, di prendere uno spavento tale, da buttarsi per tempo ai piedi di Dio e dirgli: “ Signore mio e Dio mio”.  Amen!

don Rinaldo Sommacal