Omelie

Omelia del 18 ottobre 2015 - Domenica XXIX per Anno (B)

Propongo a me e a voi tre riflessioni tratte dalle letture appena ascoltate, sperando di riuscire a piantare nel nostro io la Parola di Dio, a cui conformarci.

Dice Isaia profeta del futuro Messia: “Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce”. Noi, che veniamo dopo sia del profeta che del profetizzato Messia, sappiamo di che ‘intimo tormento’ si tratta. Gesù può essere definito in mille modi, ma nessun modo può dire il tutto di lui, l’Indefinibile. Isaia usa, però, una parola che ci aiuta a capire uno dei momenti più difficili vissuti da Gesù, secondo me il più intimo, misterioso, sconvolgente e  sempre attuale. Isaia parla di un ‘tormento intimo’, invisibile. Questa parola non si accontenta di portarci a fissare l’occhio sulla flagellazione, sulla incoronazione di spine, sulla flagellazione, sulla crocifissione…, tutti capitoli di una sofferenza senza pari, ma ben visibile a occhio nudo.

A me è sempre parso essere superiore di ogni altro il tormento che Gesù provò quella notte, nell’orto degli ulivi, quando, in perfetta solitudine, in un drammatico dialogo con il Padre, il suo intimo divenne un infinito, indescrivibile, divino abisso di dolore. Un dolore non capito e non condivisibile con nessuno e che colpì tutte le sue umane e divine percezioni. Ebbe la coscienza di essere e di sentirsi il peccato del mondo, abbandonato anche dal Padre suo, che, pur, condivideva il dramma del figlio. Con la sua divina e umana sensibilità, pagò i debiti di Adamo e dei suoi discendenti. Dolore che si scaraventò furibondo sul suo corpo mortale. Gli si scoppiarono i capillari. Si rivestì di sangue, stampatosi  poi sulla sacra ‘sindone’. 

“Perché tanto intimo tormento” ci chiediamo? Tutti i tormenti di Gesù, in particolare quelli vissuti in solitudine nel giardino degli ulivi, sono il terrificante prezzo dei peccati dell’uomo, eccetto l’Immacolata. Andiamo per un istante in quel giardino. Al suo invito: “Vegliate almeno un’ora con me”, non dimentichiamo che siamo concausa dei suoi tormenti vissuti fino al ‘consummatum est’ per salvare tutti noi. Rifiutarlo? Dipende tutto e solo da ognuno di noi.

Il secondo pensiero è quello presente nel breve, ma bellissimo brano della lettera agli Ebrei, dove si dice: “Abbiamo un sommo sacerdote grande, Gesù il figlio di Dio”. Gesù! Ad un tempo l’unico sacerdote e vittima. Io, che presiedo questa celebrazione sono nell’unico sacerdozio di Gesù; è Gesù che agisce in me. Ma lo stesso lo dico di voi: attraverso l’acqua del fonte e il sacro crisma ricevuto in fronte, ogni battezzato diventa membro vivo del corpo sacerdotale di Gesù. Più siamo e più è visibile il corpo sacerdotale di Gesù.

Infine la lezione del vangelo: facile da capire, ma difficile da realizzare. Cioè? Non fare l’errore di chi si sente migliore degli altri e pretende da Dio un posto privilegiato. La vera grandezza deve passare attraverso la spogliazione di ogni ambizione e di ogni superbia. ‘Dio resiste ai superbi e innalza gli umili’. Maria docet! Grandezza è l’altruismo che richiede, a sua volta, di essere purificato dalla esaltazione del proprio, ‘io’.

don Rinaldo Sommacal