Omelie

Omelia del 25 maggio 2014 - Pasqua VI (Anno A), Festa della Parrocchia

Se al mio posto (cosa oso dire?) ci fosse Papa Francesco, inizierebbe dicendovi: ‘Buon giorno’. 

Anche a me piace darvi il benvenuto con il saluto a noi più familiare del ‘buon dì”. Nella mia infanzia, il ‘buondì’ al mattino, il buona sera nel pomeriggio, la buona notte alla sera erano di tutti, da tutti e verso tutti. Per dire che due persone erano in inimicizia, si diceva: “Non si salutano neppure!”. Ora si è infranta la cultura del villaggio in cui vivevano i contadini, il borgo degli artigiani, la civitas dei signori. Dopo le prime esperienze condominiali, dove confluivano famiglie tra loro sconosciute, si è visto capitolare la cultura della socializzazione. 

Noi più anziani ricordiamo che, negli anni cinquanta-sessanta, le prime infornate nelle case popolari e nei condomini videro le famiglie presentarsi, farsi conoscere, scambiarsi servizi, dialogare… Ma, ben presto, cominciò a serpeggiare il pettegolezzo, il sospetto, la delusione, anche la maldicenza. Quasi subito si passò dalla condivisione alla difesa della propria vita privata. 

Oggi, fatta qualche eccezione, in città primeggia, non la fraternità tra vicini di casa, ma, o l’individualismo o una specie di corporazione tra colleghi, amici. Gli anziani si sentono sempre più soli; le giovani famiglie si incontrano di più attraverso i figli: carrozzine in piazza, scuola, sport, cultura, volontariato, il cellulare, ecc.  

Cosa dire? Non è semplice, né facile rispondere. Interroghiamo la famiglia divina che si è proposta di vivere in condominio con noi, seminando amore, evitando divisioni, lievitando la pasta della pace, che non è assenza di guerra, ma una dinamica di valori che, da individuali, si fanno di tutti, per ritornare migliorati in ciascuno.

La moltiplicazione dei pani della pace può ripetersi ogni giorno, se ogni giorno ci mettiamo in gioco come dono e sappiamo accogliere come dono il vicino. Facile? No. Neppure in convento. Spesso sembra utopia. Una presunzione per la scienza che tutto vuol risolvere. Pazzia da superuomo per la spiritualità. Invece matrimonio fecondo se scienza e fede si affrontano in un prodigioso duello. La moltiplicazione dei beni materiali, morali e spirituali diventerebbe la tavola imbandita non di illusioni, ma di vero nutrimento di pace e di fraternità. Questo è e dovrebbe essere il vangelo da esportare in tutto il mondo, come insiste papa Francesco e come dice la prima lettura, oggi.

Il diacono Filippo, quindi una laico consacrato e un consacrato che rimane laico, decide di uscire dall’orticello di casa e va verso una regione ostile agli ebrei ed alla Chiesa di Gerusalemme. Filippo va e predica loro il Cristo. I tradizionalisti dicevano: “Va a perdere il suo tempo!”. Gli increduli e sospettosi samaritani, invece, “Prestarono attenzione alle parole di Filippo…Vi fu una grande gioia in quella città”. Ed ecco sorgere, fuori le mura di Gerusalemme, una nuova Chiesa di Cristo.

La prima lettura ci invia un messaggio, quasi una lettera raccomandata con avviso di ricevuta. Il messaggio ci dice quello che fece  il diacono Filippo. E’ racchiuso in tre parole: ‘Scese! Predicava Cristo’. Filippo era un laico su cui venne impresso il sigillo  del primo gradino dell’Ordine Sacro. Ci dice che la missione di predicare Cristo, non è esclusiva dei presbiteri e dei vescovi, ma è uno dei  doni dello Spirito Santo, che riveste il battezzato con l’acqua del fonte che è la configurazione a Gesù.

Il battezzato diventa Gesù: Parola di Dio che chiede di essere ascoltata, accolta e donata. Noi presbiteri, con l’Ordine Sacro, riceviamo la facoltà di predicare la Parola di Dio e rinnovare l’Incarnazione dell’Emmanuele in chi la ascolta, la riceve, la fa sua. Chi crede e viene battezzato, diventa a sua volta un evangelizzatore di Gesù Cristo, con le opere e le parole.

Il richiamo forte che, con santa efficacia papa Francesco sta inviandoci, è questo: che tutti siamo evangelizzatori, in uno degli innumerevoli modi che abbiamo di dire la nostra fede in Gesù e dire a chi ci ascolta chi è Gesù. Nella evangelizzazione c’è colui che  annuncia e colui che ascolta.

Mi sono chiesto: “Tu, chi devi evangelizzare?”. Alla ricerca del pagano da evangelizzare, dopo molti tornanti, mi sono accorto che lo avevo già in casa ed ero io. Ve lo assicuro, con sorpresa, in parte piacevole, per lo più deludente, mi sono ritrovato ignorante di Gesù, non quello che trovo sui catechismi e sui libri, non quello che predico da tanti anni, ma quello che abita in me e che lascio ospite inascoltato, come il Gesù lasciato solo nei tabernacoli delle nostre chiese. Perciò, il primo da evangelizzare da parte mia, ma da laico ancor prima che da presbitero, sono io.

Senza offendere nessuno, sono certo che la stessa sorpresa missionaria potete farla tutti voi, con voi stessi, senza tanta pubblicità, ma in modo quasi inesorabile. Chiediamoci: “Chi è Gesù? Dove oggi abita Gesù? Cosa ci dice Gesù? E se Gesù, che certamente passa, mi dicesse: “Forse tu non mi conosci, eppure io ti conosco, perché abito dentro di te, sono tua proprietà; ti amo come il Padre ama me?”.

Dopo il primo sgomento, più mi lascio evangelizzare da me stesso, più mi sento riempire di gioia ed il bisogno di comunicarLo ai ‘samaritani’, cioè a quelli che mi vivono vicini, ma che, a loro volta, hanno relegato Gesù nel tabernacolo della loro freddezza.  Gesù, il grande sconosciuto. Ma Gesù no! Gesù è spirito di fuoco.

Chiediamogli di tornare a riscaldarci con il suo amore. Gesù giura: “Chi ama me, è amato anche dal Padre mio. Anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui”. E’ il tempo dello Spirito Santo. Obbediamo a Pietro, a papa Francesco che ci chiedono: “Adorate il Signore , Cristo, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione  della speranza che c’è in voi”. Sarà la nuova primavera della Chiesa. Deo gratias!

Don Rinaldo Sommacal