Omelie

Omelia del 22 dicembre 2013 - Avvento IV (Anno A)

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Quando facciamo la celebrazione della Parola di Dio, come quella in corso, rivivono i tre tempi dell’intero mistero della nostra fede cristiana:il passato, il presente, il futuro. La Parola di Dio, proclamata sulla mensa di questo altare, rende vivo e presente, realmente e non solo come ricordo, l’intero mistero della salvezza, donato  da Dio a noi uomini, fin dalla cosmogenesi (il big-bang), nei modi più diversi, ma efficaci, in vista dei cieli nuovi e della nuova terra che noi chiamiamo ‘Cristogenesi’.

Ecco perché ogni liturgia domenicale, con la prima lettura, va ad attingere ciò che Dio ha detto e dato ai nostri Padri, per mezzo dei veri profeti, che Dio stesso sceglieva, per parlare a noi uomini. Il passato non è un tempo fuori da noi. La Parola di Dio della ‘antica alleanza’, non è un libro  chiuso e consegnato agli scaffali del passato remoto, che ogni tanto fa piacere interrogare, per sapere qualcosa in più sui nostri Padri.

No, il passato è tutto inciso nel nostro DNA. In noi rivive Adamo; si danno battaglia Caino ed Abele; gozzovigliano spensieratamente quanti, deridendo ogni etica e moralità, stanno precipitando tragicamente negli abissi dell’autodistruzione; si ripete il complotto dei dieci figli di Giacobbe, che, per invidia, vendono Giuseppe, il loro fratello minore. Dopo le sofferte riconquistate libertà, quanti ritorni alle false libertà che sono le nuove schiavitù!

Ed ecco intervenire la Parola di Dio. Con nitidezza e coraggio ci libera da ogni inganno, ci indica la strada della libertà interiore, porta noi a nutrirci di ideali veri e non di culture false ed inquinanti. Fa parte di questo passato-presente -futuro il grande annuncio, che pervase la terra, con molti alti e bassi, ma senza spegnersi, fatto da Dio già nel paradiso terrestre. Dio in persona giurò ad Adamo di portare a compimento il suo sublime progetto a nostro favore, debellando tutte le idolatrie possibili ed immaginabili. A Lucifero, suo acerrimo ed astuto antagonista, falsa divinità, predisse: “Una donna, con suo figlio, ti schiaccerà la testa”. Ogni domenica, in questo nostro Cenacolo, continuiamo a tessere lo sfavillante arazzo della salvezza, ricevuto da altri, da trasmettere ad altri.    

Noi siamo il campo da salvare. Dio è l’Agricoltore e  Gesù il seme, promesso nell’Eden. Compito del campo è quello di accogliere, come un utero fecondo, il seme. Sarà l’Agricoltore a mietere il grano al tempo stabilito. Alle porte del Natale cristiano, una domanda: “Come accogliamo Gesù, il buon seme che l’Agricoltore celeste  depone a piene mani, in continuazione, entro le nostre viscere?  A noi rispondere con sofferta verità. 

Se non vogliamo che Natale sia solo un anniversario del passato e non un mistero che si rinnova, diventiamo la Betlemme del duemila, non più disadorna ed impreparata come allora, ma accogliente. E tu Giuseppe (che siamo noi), non temere di prendere con te Maria con il suo bambino. E’ l’Emmanuele. Gli metterai nome  ‘Gesù’, il Salvatore.

don Rinaldo Sommacal