Omelie
Omelia del 15 dicembre 2013 - Avvento III (Anno A)
La Parola di Dio, ascoltata oggi, spazia dalla profondità dei tempi e va a parare enigmaticamente nientemeno che sul precursore del Messia, Giovanni il Battista che, dalle viscere delle carceri, dove fu imprigionato, fece giungere a Gesù questo drammatico interrogativo: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”
Di proposito la Parola di Dio vuole spaziare da un capo all’altro della vita, da una situazione critica e piena di dubbi a quella susseguente pregna di certezze e di positività. Isaia profeta e l’apostolo Giacomo, che ci stanno accompagnando al Natale di Gesù, sono in contraddizione con se stessi, ma volutamente. Prima parlano di deserto, di steppa e di terra arida. Poi, senza virgole né punti, affermano il contrario: “Il deserto si rallegra, esulta la terra arida, fiorisce la steppa come un fiore di narciso, ecc.”.
Isaia, con una affermazione lapidaria, spiega il motivo per cui l’umanità, simile ad una terra divorata dal deserto, è invitata ad aver coraggio, a non temere. Cos’è che può cambiare una fontana screpolata in un nuovo pozzo pieno di acqua che disseta uomini, animali e piante? Non certamente le nostre campagne elettorali, infarcite tutte delle stesse promesse, poi sconfessate dai fatti, poiché non è nelle mani dell’uomo il potere di fare i miracoli, cioè di trasformare le promesse, che la gente ama sentire, in veri e propri paradisi terrestri.
L’evento, che cambiò la faccia, non solo della terra con i suoi abitanti, perfino quella dell’intero universo e, diciamo di più, perfino di Dio, è quello avveratosi ai tempi di Cesare Augusto che, con il suo potere politico non fece altro che diventare l’inconsapevole agricoltore che trasformò il mondo intero in una Betlemme, cioè nella casa del pane, dove, per pane, si intende ogni bene: la rettitudine, la verità, la giustizia, la valorizzazione positiva di ogni talento posseduto dalle singole persone, per cui tutte si sentono cittadine di Betlemme.
Betlemme diventa il simbolo della nuova umanità che, senza perdere la sua originale natura, viene nutrita con un pane disceso dal cielo. Chi lo mangia, è divinizzato. Isaia tranquillizza Giovanni il Battista che, per come stavano andando le cose, era profondamente turbato, divorato dal dubbio di aver sbagliato tutto e di aver fallito quello che pensava dover essere l’unico vero scopo della sua vita: annunciare il Messia, il vero Messia. Per Isaia qual è l’ evento che cambia la faccia di tutta la terra? Ascoltiamolo: “Ecco il vostro Dio. Egli viene a salvarvi. Si apriranno gli occhi ai ciechi, gli orecchi dei sordi. Lo zoppo salterà come un cervo, canterà di gioia la lingua del muto”.
Non sarà l’uomo, con i suoi propositi fallimentari, ad andare incontro e raggiungere il Signore. Il vero prodigio, che non sarà mai capito ed accolto per intero, sta nel fatto che il Signore stesso viene a noi, con la sconfinata, inesauribile pazienza del buon pastore e non con la scure predicata dal Battista. Noi siamo la vigna malata. Gesù è l’agricoltore che ci ama. Mai ci abbandonerà, neppure quando sarà da noi abbandonato.
don Rinaldo Sommacal