Omelie
Omelia del 17 novembre 2013 - Domenica XXXIII Per Anno (C)
Il mese di novembre, inaugurato con la Solennità dei Santi e la Commemorazione dei Defunti, essendo anche l’ultimo mese dell’Anno Liturgico, ci richiama, in modo incalzante, anche pauroso, al bisogno di prepararci per sostenere gli esami finali che diranno ad ognuno di noi quale voto avremo meritato.
Davanti al Tempio di Gerusalemme, allora considerato una delle meraviglie del mondo e saldissimo nella sua struttura, Gesù dice quelle parole che devono essere predicate a tutti gli esseri della terra, cioè che tutto ha un inizio e una fine: genere umano compreso. Quel “Non rimarrà pietra su pietra” è una sentenza che sembra un ordine, ma che, soprattutto, richiama noi, distratti dal micro-presente, a mettere a fuoco quella verità, che nessuno può contestare, cioè che ci stiamo avvicinando al nostro giudizio ed, alla fine del tempo, al giudizio detto giustamente ‘universale’.
“Giorno rovente” lo chiama Malachia. Usa la paurosa immagine del fuoco. Tutti ne conosciamo la potenza. E’ un ammonimento per chi sta bruciando la sua vita presente in modi di vivere che nulla hanno a che vedere con i meravigliosi progetti di vita che Dio ci ha consegnato, che Adamo ha stracciato, che Gesù ha onorato come ben sappiamo, che l’apostolo Paolo, a nome della Chiesa di Cristo, vive e raccomanda ai cristiani.
A conclusione di questo severo richiamo a dover essere positivi, davanti al mondo e davanti a Dio, per far capire che non sfuggirà al giudizio finale, né il bene del lavoratore, né il male del parassita che ha imparato a prosperare sul sudore altrui, Paolo conclude dicendo: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi”.
Davanti a questi doverosi, spesso severi richiami, presenti in tante pagine della Bibbia, che riflessioni possiamo fare? In primo luogo, non prendere sottogamba questi messaggi che, pur rivestiti di grande severità, hanno come scopo unico sempre e solo il nostro bene. Anche mamma e papà, quando un figlio, che amano e che vogliono salvare da ogni male, sta per prendere o ha già preso una brutta piega, usano le due armi: offrire la medicina della comprensione e della tenerezza; ricorrere alla severa e coraggiosa correzione fraterna, per una conversione difficile, ma sempre possibile.
Dio ci ama, ce lo dice in mille modi. La prova del Suo infinito amore per noi è l’Incarnazione del suo amatissimo figlio. Dio non chiude mai gli occhi. Aggiungiamo a Dio quella felicità che un genitore prova per la buona e serena condotta dei figli. Ci guarda. Se ci vede meritevoli, ci dirà: “Vieni!”. Se ci trova ‘ingiusti’ ostinati, prima tenterà la riconciliazione con la ‘grazia finale’, poi lascerà parlare la coscienza personale, che dirà ciò che Dio non vuol dire.
Il messaggio da raccogliere oggi è: Dio ci ama, ci vuole tutti salvi, per questo ci corregge con ogni mezzo. Ricordiamo, poi, che Gesù, alla domanda: “Quando verrà la fine del mondo?”, disse: “Nessuno lo sa. Solo Dio”. Ogni apocalittica privata profezia è servita.
don Rinaldo Sommacal