Omelie

Omelia del 20 ottobre 2013 - Domenica XXIX Per Anno (C)

Quando tutto e tutti si allontanano da noi; quando li sentiamo lontani, o siamo tentati di isolarci, dobbiamo rileggere ciò che fece il grande Mosè, una delle figure più alte dell’uomo credente, ma anche dell’uomo che riconosce i suoi limiti.

Dove nasce di solito lo sgomento individuale ed il parapiglia collettivo, vigilia di crisi a volte fatali, là Mosè, l’intrepido e coraggioso condottiero verso la terra promessa del popolo di Dio, diventa un umile pellegrino di Dio. Sale sul monte, vuole silenzio d’intorno. Lo sostengono i fedelissimi Aronne e Cur. Non ha il coraggio di chiedere nulla al suo popolo, poiché egli stesso è in balia del dubbio. Cosa fa? Afferra il bastone di Dio, alza le mani verso il cielo in segno di totale e libera fiducia in Iawé, pronto a rinnovare il suo SI a quel Dio che lo inviò al Faraone, con l’ordine assurdo e impossibile da realizzare, cioè di liberare dalla dura schiavitù il ‘suo’ popolo. Le sue mani alzate diventano il simbolo parlante di ogni preghiera che l’uomo innalza a Dio.

La preghiera di Mosè diventa una lezione vivente per noi, che la stiamo interrogando, con la voglia di capire e con il proposito di imitare. Mosè è lì che prega. Ma è solo uno spaccato del suo vivere  quotidiano. Quel Mosè che, in questo periglio, scelse un posto e un modo diverso dal solito, che ha il sapore di uno dei nostri pellegrinaggi, quando dobbiamo chiedere qualcosa di importante, è quel Mosè che tutti i giorni lascia la sua tenda e va nella Tenda del Convegno, per incontrare Dio, a nome di tutta la comunità, ascoltare Dio che gli parla, per poi ritornare tra la sua gente, assetata di vederlo e di sentirlo, anche se pronta a disubbidirlo e minacciarlo. 

La preghiera: deve essere una virtù quotidiana di ogni credente, che non deve mai iniziare la sua giornata senza farsi il segno della croce ed elevare a Dio una preghiera di adorazione, di ringraziamento e di domanda.

A volte, dati i tempi difficili, diventa incombente salire al piano superiore della fede, per stare con Dio. Lassù, più che imprecare contro Dio, incolpandolo, dobbiamo trasformare la preghiera, in una preghiera che scuota le coscienze e faccia sentire la prossimità di un pericolo devastante o già all’opera . Si convochino i credenti di ogni lingua, razza e nazionalità, perché si mettano in ginocchio, con le mani alzate verso l’unico e vero Dio, comunque lo si chiami, e si facciano preghiere: Per essere esauditi, si confessino le colpe personali e non quelle degli altri, si indìcano digiuni e penitenze, poi si scenda dal quinto piano a terra, con propositi ferrei di vita nuova. Mosè così fece. Gesù così insegna.  Così insegna papa Francesco. Paolo replica: “Rimanete saldi nella fede, annunciate la Parola (cioè il vangelo), insistete … ammonite, rimproverate, esortate con magnanimità e insegnamento”. Ascoltandoli, anche noi impareremo la potenza vincente della preghiera di adorazione, di lode, di ringraziamento e di domanda. Ma che squallore incontrare bambini che non sanno, senza loro colpa, preghiera alcuna!

don Rinaldo Sommacal