Omelie

Omelia del 8 settembre 2013 - Domenica XXIII Per Anno (C)

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Ogni volta che metto il piede entro la Liturgia della Parola delle varie domeniche e solennità, è come se entrassi in un campo di grano, o nei filari di un vigneto, o tra le aiuole con ghiottonerie di stagione. Dal di fuori, tutto sembra uniforme, fino alla monotonia. Se entri con il dovuto rispetto e con competenza, trovi che ogni vegetale ha la sua cattedra e una originale carta di identità.

Ci sono scienze che considerano ogni pianta una individualità, quasi una persona, e la iscrivono in una specifica anagrafe. Questo strano modo di introdurmi è per dire che, anche sfogliano parola per parola la liturgia domenicale, proposta dal magistero della nostra santa Chiesa, ci imbattiamo in affermazioni, in interrogativi, in insegnamenti, in giudizi…, magari racchiusi in una sola parola, o in una frase, più o meno centrale, ma che offrono il loro prezioso seme da accogliere e da portare a maturazione, per diventare, una volta raccolto, cibo e bevanda, da mettere con dovizia sulle nostre mense.

Spigolando tra le ricche letture odierne, colgo una  preziosa affermazione. Ci è offerta dal libro detto ‘della Sapienza’. Sappiamo che la sapienza personificata non è un oggetto, neppure un essere creato, pur dotato di intelligenza. Chi può dire, senza tema di sbagliare “Io sono la Sapienza personificata?”. Solo Dio, che, però, per essere ascoltato e, in parte capito, dona agli angeli ed a noi uomini l’intelligenza, che ci permette di  interrogarlo e conoscerlo. 

A sua volta, l’intelligenza chiede di essere sospinta dalla libera volontà della ricerca, che spesso zoppica. Dice oggi il brano sapienziale: “A stento immaginiamo le cose della terra; scopriamo con fatica quelle a portata di mano. Ma chi mai ha investigato le cose del cielo?”. E’ un monito rivolto soprattutto ai ricercatori, quando si permettono di emettere sentenze inappellabili di carattere filosofico e scientifico. Davanti alla giusta sete dell’intelligenza umana di conoscere le leggi del creato, i ricercatori, che per questo si fanno chiamare scienziati, si possono dividere in due categorie:

  • quelli che, in forza delle loro scoperte scientifiche, si chiedono:”Ma chi le ha fatte esistere?” Siccome la scienza non sa rispondere in quanto scienza, gli umili scienziati si inginocchiano davanti a questo invisibile TUTTO, che lascia tracce per farsi cercare ed interrogare.
  • Altri, forse contagiati da ideologie imperanti, dicono: “Nelle nostre ricerche Dio non si vede, perciò Dio non c’è”.

Ai primi diciamo: ‘La vostra è scienza vera! Beati voi!’ Ai secondi, con molto dispiacere, diciamo: “Tornate ad essere coerenti con le leggi da voi scoperte che dicono che ogni effetto chiede una causa proporzionata, la si veda o no. Sarete premiati da Dio che ama essere cercato. Non fatevi divinizzare dagli studenti. Il brano citato torna sempre a chiedervi: “Chi mai ha investigato le cose del cielo?”. L’uomo fa bene a cercare, ma, più cerca e più allarga i confini del mistero nascosto nel creato.

Chi può conoscere sia il creato che il Creatore? Solo colui che è Creatore e creatura: Gesù.      

Don Rinaldo Sommacal