Omelie
Omelia del 1 settembre 2013 - Domenica XXII Per Anno (C)
Ad una cena, certamente di rango, forse di nozze, Gesù è tra gli invitati. E’ bene sottolineare quello che l’evangelista dice, quasi sottovoce, cioè che: “i farisei stavano ad osservarlo”. Non si accorsero, invece, che Lui li stava osservando con l’occhio del maestro che coglie immediatamente gli errori.
Visto che alcuni degli invitati andavano alla caccia dei posti migliori, prese la parola. Gelò tutti, dicendo: “Tu, quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto”.
“Chi è questo sapientone, questo intruso, questo ficcanaso che vuol darci lezione di buon comportamento?” si saranno chiesti quelli che avevano occupato i primi posti. “Bella lezione!” avranno commentato gli invidiosi che si erano visti sfuggire i posti più ambìti.
Gesù era il personaggio del giorno. La sua fama riempiva le cronache non solo dell’intera Palestina, ma anche al di là del Giordano. Gli offesi, che covavano vendetta e gli altri che ghignavano soddisfatti, chiesero ad una voce: “Perché?”. Gesù rispose: “Perché non ci sia un altro invitato più degno di te e colui che ha invitato te e lui, venga a dirti: cedigli il posto”.
Cosa dire? Proviamo. Chi volesse fermarsi alle regole del galateo, potrebbe dare sfoggio della sua cultura e dire: “Gesù ha perfettamente ragione”. Certo, anche il buon galateo è indice di educazione e di rispetto di una giusta gerarchia, ma Gesù punta molto più in alto, oltre la tastiera delle norme sociali, necessarie, ma fredde.
Gesù, in quel cercare il ‘primo posto’, mette a nudo un difetto che, normalmente mette radici nelle persone che, o per la professione che esercitano e che innalza nella scala della notorietà, o per il potere politico o religioso che ricoprono, o per la smania di chi, pur di apparire, magari accontentandosi di raccogliere le briciole d’oro che cadono dalla mensa del padrone, si offre a fare il portaborse di qualche potente di turno. Questo per Dante è il girone dei vanitosi, dei carrieristi, dei superbi, degli ipocriti che, pur di salire, sono disposti ad indossare l’abito dell’agnello e altre volte a sguainare la spada della lingua, del denaro o del potere.
Ecco la virtù cara a Dio, che Gesù incarnò fin nel seno materno, predicò, per la quale, con la quale salì il duro legno della croce. Mentre noi lo abbiamo addirittura cacciato fuori dalla sala da pranzo, Dio Padre, che tutto vede, lo ha posto a capotavola. Quale è questa virtù, preziosa come l’acqua che silenziosamente nutre uomini, animali, terra; riempie i fiumi, i mari; vivifica gratuitamente, chiedendo solo rispetto? Questa virtù, che ha fatto grandi i santi, sia quelli da altare, sia quelli che solo Dio riconosce; questa virtù che divenne il motto di un vescovo, poi innalzato sulla cattedra di Pietro, il cui nome di battesimo è Albino Luciani, questa virtù si chiama ‘umiltà’, da humus, la madre-terra che dona a tutti di che vivere, senza attendere un grazie, ma rispetto sì. “Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato” disse Gesù, oggi anche per mezzo di Papa Francesco.
Don Rinaldo Sommacal