Omelie
Omelia del 9 giugno 2013 - Domenica X Per Anno (C)
Mi sono chiesto: “Cosa posso cogliere da queste tre letture, molto problematiche e toccanti, per condividerle con voi, fratelli miei, famiglia mia, Chiesa di Cristo in Belluno". Tento di dirvi qualcosa, ma invito voi a continuare da soli o in famiglia, ad interrogare la Parola di Dio e coglierne le molteplici sollecitazioni, tutte preziose ed utili.
Interrogo la prima lettura, strettamente collegata con il brano del vangelo.
Narra di un singolare episodio, vissuto a Sarepta, periferia della città di Sidone. Tre sono i protagonisti: una vedova, suo figlio ed Elia, l’uomo di Dio. Nella donna, già provata duramente per la morte del marito ed ora certa della morte dell’unico figlio, scatta un violento astio nei confronti dell’uomo di Dio e di Dio. Dalle sue parole sembra che, nel passato, la vedova si fosse macchiata di qualche colpa. Pensava, quindi, che Dio gliela facesse pagare con la morte del figlio. Dalla bocca di quella donna ferita e mamma disperata, uscirono queste durissime, ma comprensibili parole contro Elia e contro il Dio di Elia: “Che cosa c’è fra me e te, o uomo di Dio” disse. “Sei venuto da me per rinnovare il ricordo della mia colpa e per far morire mio figlio?”.
Quanti interrogativi. Ecco la mia riflessione.
Noi sacerdoti siamo simili al profeta Elia. Ci è stata affidata una famiglia di famiglie, entro le cui invisibili mura domestiche abitano i piccoli e i grandi, i giovani e gli anziani, i sani ed i malati, i credenti, i dubbiosi, gli increduli, gli atei, i buoni ed i cattivi, gli operosi ed i pigri, le nascite e le morti. L’evento più difficile da affrontare per un parroco è accogliere, condividere e celebrare cristianamente, ma ancor prima umanamente, la morte di un parrocchiano. Se si tratta, poi, di una morte che squarcia e spezza il cuore dei familiari e dell’intera comunità, il pastore diventa padre, madre, fratello, amico, avvocato davanti a Dio sia del defunto che della famiglia terribilmente colpita Noi stessi, preti, a volte veniamo inondati da 1000 perché. Chi è sopraffatto dal dolore, spesso ha bisogno di poggiare la testa su una spalla amica e potersi sfogare. Il pastore deve capire questo e deve lasciarsi investire da questa onda di amarezza che sa di amore, di dolore, di rabbia, di ribellione…Qualcuno sente il bisogno di rimproverare Dio, aggredendo chi lo rappresenta.
Quel ‘sei venuto per far morire mio figlio?’, è sempre di attualità. Forse è questa la ferita più grande che riceve un sacerdote nel suo ministero. A soffrire di più per la morte di un caro parrocchiano, certamente dopo i familiari, è proprio il parroco.
Ma è allora che Dio si serve del suo piccolo e fragile pastore per liberare qualcuno dalla disperazione. Dopo di aver ricevuto delle ferite da un ferito, l’uomo di Dio, soffrendo con chi soffre, chiede alla famiglia: “Datemi colui che è morto". Per bocca di un qualsiasi sacerdote, è Gesù che, con autorità ci dice: “Non piangete”. E al morto comanda: “Alzati!”. Vieni!. La tua vita non è tolta, è trasformata”.
Il nostro legittimo dolore non sia, però, causa di dolore dei nostri cari che anelano al paradiso.
Don Rinaldo Sommacal