Omelie

Omelia del 6 maggio 2012 - Pasqua V

  • Stampa

ANNO B - 2012

Abbiamo attentamente ascoltato le tre letture.

Ora è il momento di interrogarle, per poi interrogarci.

Nella prima lettura abbiamo colto tutto il travaglio interiore, subìto e vissuto dai cristiani di Gerusalemme, al ritorno di Saulo, detto Paolo.

Dopo aver preso parte attiva alla lapidazione di Stefano, con il consenso delle autorità religiose e politiche di Gerusalemme, con alcuni fanatici, Paolo aveva preso la via di Damasco, per far man bassa dei cristiani.

Su quella via incontrò Colui che era il più potente dei potenti, capace di disarcionare Saulo dalle sue intenzioni persecutorie e, in un istante, illuminarlo su Gesù Cristo, che i cristiani avevano scelto come l’atteso Messia, morto e risorto. Chi perseguita i cristiani, perseguita Cristo.

Al “perché mi perseguiti?” di Gesù, con quello che segue, Saulo cambiò radicalmente la sua vita. Diventerà Paolo con il battesimo che riceverà da Anania, che doveva forse essere la prima vittima designata.

Gerusalemme, però, conosceva Paolo solo come il persecutore dei Cristiani.

Ora lo vedono tornare come apostolo di Cristo e fratello di quanti credevano in quel Cristo che egli perseguitò.

Per questo lo accolsero più con paura e sospetto che con amore e gioiosa sorpresa.

Ci volle la mediazione di Barnaba, uomo da tutti stimato, perche spuntasse nei cristiani la fiducia in Paolo.

Questo mi fa pensare a un evento che si ripete.

Siamo una comunità al 99, 99 per cento cristiana, quindi membri di quel nuovo corpo che Gesù si è dato, le cui membra siamo noi, diventati tali attraverso il battesimo e gli altri sacramenti, remissione dei peccati compreso.

Siamo qui per cibarci dello stesso pane della Parola e dell’Eucaristia. Ci scambiamo il segno della pace.

Ma poi, nella vita di ogni giorno, come vanno le cose?

Ci accogliamo come fratelli, capaci anche di perdonare e di farsi perdonare, o rimaniamo tutti rinchiusi in quegli angoli del nostro io, in cui sono andati a riporsi i dispiaceri ricevuti e mai dimenticati, i sospetti di torti subiti, magari tutti da dimostrare, o anche quei diverbi che possono diventare così dirompenti, per cui tra persona e persona, tra famiglia e famiglia, tra gruppi sociali e politici antagonisti, pur tutti cristiani, si arriva a sfiorare l’odio, la calunnia, il disprezzo, la maldicenza, a volte perfino l’aggressione fisica.

San Giovanni nella seconda lettura, con autorità e amorevolezza ci ricorda il comandamento di Gesù che dice: “Non amiamo a parole ma con i fatti”.

Sono comandamenti che toccano tutti.

Ma per arrivare a tanto, ci vogliono energie mentali, affettive, psicologiche, fisiche e sostegni non indifferenti.

Ebbene, ecco cosa ci suggerisce il Maestro come infallibile rimedio: “Rimanete in me e io in voi”. Ed ancora: voi siete dei tralci. Vivono solo se uniti alla pianta. Ma quale pianta? La pianta è Gesù, donata a noi dal Padre celeste.

Gesù dona la sua vita a tutti e ognuno la riceve in sovrabbondanza.

Unica cosa da non fare: essere tralci aridi, cioè che si sono staccati dalla pianta che è Gesù. Mai un cristiano compia una simile scelta!

Il parroco: don Rinaldo Sommacal