Omelie
Omelia del 1 maggio 2011 - Pasqua II
PASQUA II - ANNO A - 2011
Gesù fu messo a morte dai suoi nemici, ma non solo.
Limpide furono le previsioni di Gesù circa la sua cattura, la sua condanna, la sua crocifissione ed i tradimenti subiti dagli amici.
Spavaldamente, con Pietro in testa, i discepoli a dirgli: "Finché ci siamo noi, non ti succederà nulla".
Invece ecco il tracollo velocissimo di tutti i suoi fedeli: uno lo vende, l'altro lo rinnega, tutti fuggono e resistono, increduli, davanti alle prime sconvolgenti notizie sul Risorto.
La più clamorosa ci è stata raccontata proprio oggi.
Riguarda le due apparizioni di Gesù risorto agli apostoli, la prima lo stesso giorno di Pasqua, assente Tommaso e la seconda, otto giorni dopo, Tommaso presente.
Ci viene voglia di sgridare, uno ad uno, tutti i dodici, Giuda per primo. Vorremmo prendere a parte Tommaso e dirgli: "Dov'è andata a finire la tua più volte dichiarata fedeltà al Maestro?".
Ma poi, ragionando freddamente, sento il bisogno di mettermi in ginocchio proprio di fronte ai discepoli singolarmente ed anche collegialmente presi, e ringraziarli per come si sono comportati di fronte a Gesù catturato, condannato, ucciso, poi risorto.
Lo scetticismo con cui accolsero le prime voci, che affermavano Gesù Risorto, ci dice che questi rozzi e concretissimi personaggi, per nulla indottrinati, perfino incapaci di capire lo stesso maestro Gesù, il miglior catechista vivente, sono la prova storica più credibile, perfino scientifica, della risurrezione di Gesù.
Chi più di tutti, con i loro comportamenti, sono la prova che Gesù era veramente morto e morto per sempre?
Proprio loro.
Perfino le autorità religiose dovettero tamponare l'evento, pagando profumatamente le guardie, le prime e più dirette testimoni della risurrezione, perché avessero da spargere la voce che il corpo di Gesù non era risorto, ma era stato rubato dai discepoli. Ma i discepoli erano ben lungi dal progettare una cosa simile.
Per loro Gesù era veramente morto e sepolto.
E loro ben più di Gesù erano morti nel morale, nello spirito.
Era morta la speranza che avevano riposto in Gesù che, capace di miracoli, certamente avrebbe fondato quel regno temporale intramontabile, giusto, a servizio di tutti, in particolare dei poveri, che solennemente aveva proclamato con il discorso della Montagna.
Mi sento di ringraziare Pietro, per la sua fragilità psicologica che lo portò a rinnegare Gesù e a non credere subito alla sua risurrezione.
Pietro pensò che le donne vaneggiassero allorché vennero a dirgli di strane apparizioni di angeli e di impossibili annunci di Gesù risorto. Stava negando l'evidenza dei fatti.
Se assente quella sera, probabilmente Pietro avrebbe detto quello che disse Tommaso: "Se non vedo, non credo".
Perché lodo e ringrazio i discepoli?
Perché il loro comportamento mi induce sempre di più a dire che la risurrezione di Cristo fu un evento che si impose loro, nonostante avessero fatto di tutto per consideralo solo un morto, quindi un fallito e loro, di conseguenza, degli illusi.
Prima Pietro, poi Tommaso, quindi tutti insieme i prescelti ad essere i testimoni della risurrezione, furono costretti dagli eventi ad ammettere la risurrezione di Gesù.
Pietro il giorno di Pentecoste uscirà dal Cenacolo con un solo annuncio da fare: "Gesù è risorto". Lo confermò con il martirio.
Tommaso, invitato dal Risorto a mettere il dito nelle sue piaghe, a nome di tutti i dubbiosi, commosso gridò: "Mio Signore e mio Dio!". Io, a nome di tutti voi, a cui devo annunciare Cristo crocifisso, morto e risorto, con il cuore ricolmo di gratitudine e di gioia, dico agli apostoli: "Grazie! Grazie per aver dubitato ed essere andati a sbattere, con tutto voi stessi, sul Risorto, che, morto certamente, avevate deposto nella tomba per sempre."
Avete dovuto cedere all'evidenza della risurrezione.
Oggi tocca a noi credere in forza della vostra testimonianza e dire con gioia a Gesù Risorto: "Mio Signore e mio Dio".
Questa fondamentale verità di fede non è costruita a tavolino, come taluni vorrebbero insinuare, ma fondata sull'evidenza dei fatti.
Noi siamo tra i "beati quelli che pur non avendo visto, crederanno".
Il parroco: don Rinaldo Sommacal