Omelie

Omelia del 24 maggio 2009 - Ascensione

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ASCENSIONE - ANNO B - 2009

Omelia per la festa della Parrocchia

Chi è questo Teofilo a cui si rivolge l'autore degli Atti degli Apostoli?
Chi è l'autore degli Atti degli Apostoli che scrive a Teofilo?
L'autore confida a Teofilo di essere colui che gli fece un "primo racconto" in cui "trattò di tutto quello che Gesù fece e insegnò, dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo".
Lo scrittore di uno dei quattro Vangeli prima e degli Atti degli Apostoli poi è l'evangelista Luca, medico di professione e discepolo di Paolo.
Luca, come evangelista, all'illustre Teofilo si presenta così: "...ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto".
Chi è l'illustre Teofilo, per il quale Luca scrisse la vita di Gesù e poi la vita della prima Chiesa di Gerusalemme, dell'apostolo Paolo e della sua straordinaria missione?
Teofilo potrebbe essere stata anche una persona concreta, ma, siccome Teofilo, nome greco, significa "innamorato di Dio", ogni amante di Dio, di Gesù Cristo e della Chiesa è "Teofilo".
Teofilo oggi sono io, è ognuno di noi, siamo noi intesi come Chiesa di Cristo, come famiglia di Dio, tra di noi tutti fratelli.
La caratteristica costante di Teofilo è quella di essere sempre in ascolto della Parola di Dio. Il suo è un ascolto progressivo e mai sazio, perché mai si esaurisce la sete della verità, di cui è appassionato discepolo.
Teofilo ascolta con la sapienza del cuore. Non gli interessa di essere un onnisciente su Dio e su Gesù Cristo. E' l'insaziabile amante di quel Dio che dice di essere l'Unico, la personificazione dell'amore che si fa parola a chi ascolta e trasforma chi ascolta in parola.
Teofilo ascolta con discernimento, per cui non perde tempo andando dietro alle favole. Ha sete della verità tutta intera, che, con il crescere, non lo sazia, ma gli chiede di crescere ulteriormente, fondando la sua risposta di vita a Dio su insegnamenti solidi, frutto di accurata ricerca delle fonti. Accertata la verità, la divora.
Il Teofilo, che c'è in noi, torni a farsi ascolto.
Su questo colle, su cui oggi abbiamo pellegrinato, la Parola di Dio, lontana dai rumori, si fa più limpida, l'udito più puro ed i messaggi più freschi, comprensibili, desiderabili, sperimentabili.
Cosa vuole dirci la solennità dell'Ascensione di Gesù al cielo?
Il primo messaggio che si stacca dalla Parola di Dio, aleggia su di noi e chiede di essere da noi ricevuto in pienezza, Dio ce lo invita per mezzo dell'apostolo Paolo.
Ci scrive Paolo: "Io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell'amore, avendo a cuore di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace".
Come viviamo questa esortazione, in noi, tra di noi, verso gli altri?
Perché, spesso, ci nascondiamo dietro le apparenze?
Che fine ha fatto la dolcezza dello sguardo, della parola, del gesto?
Alla magnanimità e alla condivisione dei tempi di povertà, con il benessere economico è subentrata la civiltà della diffidenza, del sospetto e dell'egoismo. Se un tempo, nelle difficoltà, si faceva della sopportazione una vera virtù cristiana, oggi ogni piccola contrarietà viene vissuta come una violenza che scatena altra violenza. Cosa manca a noi convinti cristiani? Di passare dalle parole evangeliche ai fatti. Possediamo la verità rivelata che ci dice che tra noi siamo un solo corpo e un solo spirito. Il "noi" non ha confini geografici. Questa verità deve diventare per tutti esperienza di vita quotidiana, vincendo gli egoismi. Se il piede si rifiuta di camminare, pensando di essere lo schiavo del corpo, alla fine fa del male a se stesso ed a tutto il corpo a cui esso appartiene e da cui tutto riceve. A noi non manca la teoria del vivere da cristiani, ma la pratica. Chi, con amore si mette a servizio di tutto il corpo umano, con sorpresa scopre di amare se stesso e di ricevere in cambio, ben più di quanto ha dato.
Il vero cristiano diventa portatore di speranza, altra grande assente sulle strade del mondo oggi.

Non nego che da tempo mi preoccupa una certa prassi che sta addormentando tra noi, cristiani di antica data, la vivacità e la creatività della Parola di Dio, che, per sua natura, in tempo di crisi, è capace di far nascere figli di Abramo anche dalle pietre.
Ho l'impressione che la nostra Italia, ma non solo essa, e, nell'Italia, anche noi cristiani, coinvolti dalle crisi attuali, (principalmente l'immigrazione e l'economia), ci troviamo impreparati e stiamo reagendo più con l'istinto di difenderci dagli scomodi problemi, anziché lasciarci interrogare da essi alla luce della storia che cammina e dell'insegnamento di Gesù, lievito sempre nuovo, fresco e dinamico.
L'oggi ci chiede, non una ritirata entro le mura, ma un salto di civiltà che, se non passa attraverso intelligenti e guidate integrazioni, può sfociare in imprevedibili e apocalittiche soluzioni.
Siamo una nazione dal passato nobile, ma oggi vecchia, sterile, paurosa ed arroccata in difesa.
Difendendoci non siamo preparati al nuovo e lo dimostriamo in modo polemico.
Il nuovo viene dai popoli giovani e poveri, assetati di futuro.
Non lo scontro fratricida, ma il connubio intelligente tra le culture ed i bisogni, tra i nostri mezzi ed i loro preziosi servizi, ci darebbe in risposta una impensata e creativa giovinezza.
Questo chiede lungimiranza, tempi lunghi e mediatori all'altezza spesso impopolari, come lo fu Gesù e come lo fu il cristianesimo che generò la nostra civiltà attraverso l'amore, fino al martirio.
Erode e Pilato divennero amici nello scaricare Gesù.
Dobbiamo, forse, lasciare la regia alla violenza? No.
Dobbiamo forse difenderci dai rischi erigendo nuovi muri? No. Benedetto XVI rimase profondamente turbato davanti al gelido muro che divide israeliani e palestinesi. "Ponti e non muri" disse!
Dobbiamo camminare tutti divisi in fazioni contrapposte? No.
A violenza dobbiamo rispondere con violenza? No.
Noi cristiani dobbiamo evitare di cadere nell'errore in cui incorsero i nostri padri, quando scambiarono Gesù per un nemico di Cesare, per un nemico del popolo, per un nemico di Dio, lo cacciarono fuori le mura e lo appesero ad una croce. Attenti, in nome di Cristo, a non mettere nuovamente in croce Gesù che viene a noi nelle persone che hanno fame, sete, sono ignude, perseguitate, violentate, derubate, sfruttate, cacciate, ecc.
Non siamo ingenui. Certo che si deve vigilare, perché, sotto mentite spoglie, dei lupi rapaci non vengano a noi col vestito del povero.
Per realizzare tutto questo abbiamo bisogno di pastori veri e non di mercenari, che vigilino alle porte dei nostri recinti. Non condanniamo nessuno. Vogliamo solo riaccendere la speranza in un domani che deve essere certamente nuovo e migliore per tutti. In democrazia, forse, i metodi migliori e più efficaci non sono ancora venuti alla luce. Spazio al genio! Non è una sfida al ribasso quella che facciamo, ma all'in su.
I tempi lo chiedono. Devono scendere in campo tutte le forze positive. Ascoltiamo i timori della gente, ma anche portiamo la gente al nuovo e in grado di costruirlo. E' proprio dell'autorità ascoltare, ma anche discernere e scegliere, controcorrente se necessario. Prepariamo i tempi in cui il fanciullo potrà giocare nella tana del leone. I bambini ci insegnano l'integrazione, vedi lo Sperti.
Slegare i sigilli a questi tempi profetici dipende anche da noi.
Dobbiamo superare quelle logiche che, recentemente, hanno arricchito i pochi e ridotto in miseria le moltitudini che oggi ci stanno invadendo, rivendicando sacrosanti diritti a loro sottratti.
Li abbiamo colonizzati con la forza. Perché non tornare noi da loro, ma con progetti, mezzi e scuole di sviluppo locale e democratico?
"Ridiamo speranza", recita il tema della nostra festa.
Ridiamo speranza al presente per un futuro che ci giudicherà.
Nel nostro piccolo poniamo la nostra pietra sulla strada che porta ad unire, togliendola dal muro eretto per dividere. Speranza ci chiede il mondo dei poveri. Speranza ci comanda Gesù.
Speranza è il patrimonio ereditato dai nostri padri.
Speranza è il sigillo che porta in fronte ogni persona umana.
La speranza, non la paura o la disperazione, salverà il mondo.
Il cristianesimo ci sarà fin tanto che i cristiani sapranno rendere ragione a tutti, senza timore, della speranza che è in loro.
Seminiamo speranza, in controtendenza con la cronaca quotidiana che riempie ogni girono le nostre orecchie con notizie che mettono il buon umore sotto i piedi.

Il parroco: don Rinaldo Sommacal