Mostra "Un soffio d'arte" (Belluno 14-28 gennaio 2020)

 

Il 28 gennaio si è conclusa la splendida mostra “Un Soffio d’Arte”, organizzata da “Antenna Anziani”, in collaborazione con il Centro Diurno di Psichiatria. La mostra, inaugurata il 14 gennaio, ha visto protagonisti due artisti con disagio psichico, Valter Portieri ed Enrico Tonetta.

Alle ore 17,00, presso il Salone Nobile di Palazzo Fulcis, davanti ad un folto ed interessato pubblico, si sono succeduti gli interventi del Dott. Denis Ton, Direttore del Museo, che ha sottolineato l’importanza sociale dell’iniziativa a cui è stato ben lieto di partecipare, oltre che con la Sua presenza, con la messa a disposizione gratuita della sala.

Quindi sono intervenuti il Dott. Bruno Forti, Direttore Unità Operativa di Psichiatria di Belluno, che ha illustrato la situazione del disagio psichico nel bellunese e le attività che vengono svolte per venire incontro ai bisogni delle persone in difficoltà e, soprattutto, ha illustrato i presupposti filosofici e sanitari della legge Basaglia e le sue conseguenze sul territorio e nelle istituzioni.

E’ seguita la relazione di Mons. Giacomo Mazzorana, critico d’arte, nonché Direttore del Museo d’Arte Sacra di Feltre. Il Suo dotto intervento ha fatto conoscere ai presenti l’importanza e il valore dell’arte anche in un percorso terapeutico: “I quadri che sono esposti presso Porta Dojona fino al 28 gennaio, danno voce sia alla sofferenza che ognuno di noi porta dentro di sé, ma anche alla consolazione che i due artisti hanno esperimentato e che ciascuno di noi prova quando si scoprono delle persone che amorevolmente ci stanno accanto”. Infine ha evidenziato in modo eccellente le qualità dei due artisti, del tutto autodidatti, ma dotati di talento e creatività.

La presidente di “Antenna Anziani”, Maria Agostina Campagna, ha esposto le finalità del progetto mirante ad abbattere barriere e pregiudizi e favorire una reciproca integrazione sociale. E’ seguita l’inaugurazione vera e propria della Mostra presso l’ex salone del barbiere vicino a Porta Dojona, messo gratuitamente a disposizione dal Comune di Belluno nella persona dell’Assessore al Sociale, Avv. Lucia Pellegrini. 

“L’obiettivo principale del progetto cioè di consentire, attraverso le doti artistiche, di comunicare con il contesto sociale di appartenenza spesso incurante e poco sensibile nei confronti di coloro che soffrono di malattia mentale e di uscire da una situazione di marginalità sociale” è stato pienamente raggiunto come sottolineato dalla dott.ssa Katia Trento, educatrice presso il diurno di Psichiatria.

Lo svolgimento e l’esito della mostra sono stati infatti molto positivi, eccellenti i commenti dei visitatori, ma, soprattutto, sono state gratificanti ed importanti la gioia e la soddisfazione dei due artisti. Insomma, come ha detto, ormai, circa quaranta anni fa Franco Basaglia, l’impossibile è diventato possibile.  

Si ringraziano di cuore i relatori, i partecipanti all’evento, tutti coloro che hanno collaborato per l’allestimento e i soci di “Antenna Anziani” che si sono prodigati per l’accoglienza e l’assistenza alla mostra.

 

Inaugurazione della Mostra (14 gennaio 2020)

Dr. Bruno Forti
Direttore Dipartimento Salute Mentale AULSS 1 Dolomiti

La legge 180 o legge Basaglia è una legge molto avanzata dal punto di vista punto di vista etico e dei diritti civili. Da condizioni spesso disumane in cui le persone erano “nulla” (vedi esperienza di Basaglia a Gorizia), senza diritto alla cittadinanza, alla soggettività, ad una reale contrattualità sociale, nemmeno di fatto alla cura, a condizioni in cui i pazienti sono persone, individui, che stanno in condizioni di vita quanto meno dignitose.

 In linea generale, l’obiettivo della deistituzionalizzazione è riconducibile al rispetto dei diritti della persona:

  • il malato mentale è un cittadino come tutti gli altri (diritto alla cittadinanza) 
  • attenzione alla soggettività e alla sofferenza (diritto alla soggettività)
  • assimilazione della malattia mentale a tutte le altre malattie (diritto alle cure)
  • potenziamento della contrattualità sociale del malato mentale come ‘soggetto debole’ (diritto all’empowerment)
  • storicizzazione e integrazione della persona nel proprio contesto sociale (diritto all’inclusione)

È una legge avanzata nel senso che ha aperto la strada alla psichiatria di comunità. Le direttive previste dalla legge sono state progressivamente applicate, anche se non in toto, nella maggior parte dei paesi civili. L’approccio territoriale e comunitario rappresenta ormai una conquista e un esempio a livello internazionale, come attestato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità.

È una legge molto avanzata dal punto di vista punto di vista dell’organizzazione. Prevede un dipartimento transmurale, presente in pochi paesi a livello europeo. È una concezione molto efficace, che tiene conto della complessità dell’approccio alla salute mentale e rappresenta uno dei primi presupposti per l’integrazione. Un dipartimento a cavallo tra ospedale e territorio va in controtendenza rispetto alla classica ripartizione su cui si affidava la sanità ed ha anticipato di decenni la tendenza, anch’essa affermatasi in diverse realtà, a favorire il rapporto tra i due ambiti.

 È una legge molto avanzata dal punto di vista punto di vista del mandato della psichiatria, della sua mission e della sua vision. Nonostante sia nata in un contesto in parte antiistituzionale o comunque afferente a una visione prevalentemente sociale della psichiatria, è in realtà una legge che propugna un approccio, nel senso alto e non riduttivo del termine, di tipo medico. Dire che il mandato del DSM consiste in un insieme di interventi di prevenzione, cura e riabilitazione significa affermare una cosa ovvia in tutti gli altri campi della medicina, e quindi apparentemente pleonastica, ma non in campo psichiatrico. Purtroppo, è talmente poco ovvia che tutt’oggi ci troviamo, giorno dopo giorno, a doverlo riaffermare. 

L’intervento contro la volontà viene attuato non per pericolosità o pubblico scandalo ma per ragioni esclusivamente sanitarie. È una delle più conquiste più importanti di questa legge. Di fronte al dilemma cura o controllo sociale, che da sempre ha attraversato la psichiatria e il suo mandato, la legge pende chiaramente a favore della seconda. Ma la cura, nel senso più ampio del termine, è anche attenzione, assistenza, sostegno e supporto, e si rivolge non solo al paziente ma anche ai suoi familiari e alle persone vicine.

Il dilemma tra cura e controllo sociale si ripropone continuamente in modi sempre diversi rispetto a situazioni che la società non comprende, non vuole comprendere e fa fatica ad affrontare al proprio interno, delegandoli alla psichiatria. Per una società la psichiatria è stata sempre un modo per liberarsi dei propri aspetti indesiderati. Se una persona fa un gesto grave in cui la gente fa fatica a immedesimarsi è un “folle”. È di pochi giorni fa la notizia che un gruppo di 700 psichiatri americani, preoccupati per la salute mentale del presidente Trump, mettono in guardia il Congresso sulle prossime mosse del presidente USA sollevando lo spettro di “atti distruttivi” in occasione di attacchi di rabbia e la possibilità che possa diventare un pericolo per il paese. La nostra SIP, forse più saggiamente, al di là di una comprensibile preoccupazione per certi comportamenti, si è espressa nel senso di astenersi da certe posizioni, che suonano tanto del dare del matto al nemico 

La legge non ha eliminato lo stigma, anche se lo ha certamente ridotto.  Altrimenti, difficilmente le sale d’attesa dei nostri ambulatori sarebbero così piene, a differenza di qualche decennio fa. Ma la mancata eliminazione dello stigma non può rappresentare un problema di questa legge, che quanto meno pone delle solide basi per combatterlo. Come dimostrano analoghe esperienze di deistituzionalizzazione (European Social Network), lo stigma è diffuso uniformemente nei paesi occidentali. 

"Despite decades of deinstitutionalization (…) individuals with psychiatric disabilities living outside the hospital may be described as in the community, but not of it”. “They (…) lack socially valued activity, adequate income, personal relationships, recognition and respect from others, and a political voice. They remain, in a very real sense, socially excluded.”

Barbui, Papola and Saraceno (2018) hanno analizzato “Quarant’anni senza ospedali psichiatrici in Italia”. In questo periodo c’è stato un progressivo consolidamento di un sistema di salute mentale di tipo comunitario dapprima distribuito molto eterogeneamente a livello nazionale. L’esperienza italiana sembra suggerire che il numero di letti psichiatrici non rappresenti un fattore chiave rispetto a indicatori di salute pubblica quali i tassi di suicidi, i trattamenti sanitari contro la volontà e le persone collocate negli ospedali psichiatrici giudiziari. Tuttavia gli autori sottolineano la preoccupazione per il potenziale utilizzo di strutture comunitarie come residenze a lungo termine. Rispetto agli altri paesi del G7, in Italia vi sono meno posti letto per acuti ma più strutture residenziali comunitarie. Essi sottolineano anche l’incapacità dei servizi psichiatrici di adattarsi ai profondi cambiamenti dei bisogni della popolazione, dagli anziani agli adolescenti, dai migranti alla necessità di attivare risposte specifiche sull’intervento precoce nelle psicosi.  

La nostra organizzazione ha sempre privilegiato un assetto territoriale, comunitario. Per una popolazione di 210.000 abitanti abbiamo 4 CSM e altrettanti o più CD, solo per citare le strutture più territorializzate. Abbiamo sempre perseguito l’apertura al territorio e alla comunità, la

collaborazione coi comuni, alle volte non facile, ma questo è in linea con la contraddizione mai risolta della questione psichiatrica e con la complessità di problematiche che attribuire in toto all’uno o all’altro servizio è sempre riduttivo. Abbiamo sempre cercato di mantenere un rapporto stretto con volontariato, AITSAM, associazione Margherita, Antenna Anziani e di favorire numerose iniziative quali teatro, mostre, incontri psicoeducativi pubblici.

Ora la situazione, difficile soprattutto per la carenza di medici specialisti, paradossalmente, se guardiamo ad esempio a quanto successo in Cadore con la chiusura del reparto, ci fa orientare ancora di più verso un approccio territoriale, diffuso, domiciliare, non necessariamente medicalizzato, orientato alla collaborazione con la comunità sia nei suoi aspetti formali e istituzionali sia nei suoi aspetti informali (volontariato, vicinato, reti sociali) 

Basaglia parlava di persone, individui, soggettività, diritti civili, inclusione. Il concetto di recovery (recupero, ripresa, guarigione) riprende una parte importante delle sue idee. È un concetto che comporta un percorso di recupero, ripresa e, se possibile guarigione, che non ha a che fare solo con la riduzione dei sintomi o remissione clinica ma che comprende l’individuo nella sua totalità e nel suo significato personale, con la necessità di acquisire un potere contrattuale, di porsi come attivo protagonista della vita e del percorso di cura e di recuperare capacità e partecipazione sociale. Lo sguardo deve essere orientato alla salute ed al benessere concretamente percepiti dalla persona, cui di fatto viene realmente riconosciuto potere di conoscenza e di scelta anche relativamente alla complessità delle azioni che sottendono il processo della cura. Ciò permette una nuova assunzione di responsabilità rispetto a se stessi, al disagio e alla società.

SAMHSA ha individuato 4 maggiori dimensioni che supportano la Recovery:

  • Health: superare e gestire un disturbo/sintomi (i.e. astinenza da alcohol-sostanze, prendere decisioni consapevoli e per la propria salute)
  • Home: un luogo sicuro dove vivere
  • Purpose: attività significative (i.e. lavoro, studio, tempo libero)
  • Community: sentirsi parte di una rete sociale (i.e. amici, famiglia)

Non ci potrebbe essere un esempio migliore di recovery di questa mostra. qui capiamo che ciò che conta realmente è la persona, con la propria sensibilità, le proprie capacità. i propri interessi, obiettivi di vita e raggiugimenti personali. Qui non siamo per parlare di pazienti, dei loro sintomi e del loro funzionamento, siamo per parlare di persone e del loro valore personale.Ma anche quanto facciamo cura, terapia, riabilitazione, non possiamo che confrontarci che con una persona e con il senso più profondo del suo percorso esistenziale

 

Mons. Giacomo Mazzorana
Direttore Ufficio Diocesano per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto

 Inizierei con una premessa. Ci sono diversi modi di giudicare un’opera d’arte.

La critica formalistica si sofferma appunto sulla forma di un prodotto artistico: la composizione, libera o strutturata con varie modalità di struttura ( simmetrica, ecc.) , lo spazio, bidimensionale o tridimensionale con le molteplici possibilità di rendere la terza dimensione sia a livello di volumetria che di profondità, la linea, i colori con la loro infinita gamma, la  luce con i diversi effetti a seconda della fonte da cui proviene, ecc.

La critica sociologica indaga invece il contesto sociale dal quale è sorto il prodotto artistico. La critica iconografica e iconologica esamina soprattutto i contenuti, i significati.

La critica psicanalitica scandaglia invece l'io profondo, soprattutto dopo gli apporti di Freud e di Jung. Su quest’ ultima dimensione si sono sviluppate, soprattutto nel secolo scorso,  altre discipline : la neuroestetica (fondata d Semir Zeki nel 1994) che studia le basi biologiche e percettive dell'esperienza estetica, l’arte irregolare, denominata nei paesi anglosassoni outsider art, e in Europa art brut il cui massimo rappresentante è stato Jean Dufuffet il quale ha prodotto come artista diverse opere dal carattere molto espressionistico e irrazionale e ha raccoglie molti dipinti fortemente istintuali dei bambini, dei primitivi, dei carcerati, degli emarginati in genere e infine l'arte terapia.

In un certo senso quest'ultima tipologia è la più antica e concerne tutti, protagonisti e fruitori di arte. Aristotele nel Perì tes poitetiKes parla della funzione terapeutica del teatro allorchè definiva la tragedia mimesi, imitazione dell'universale, di una realtà cioè che può riguardare tutti, secondo le leggi della verisimiglianza allo scopo di catarsi , cioè di purificazione, che valeva per chiunque assistette a una rappresentazione teatrale, per liberarsi delle emozioni  represse al fine di ritrovare uno stile di vita equilibrato. Fondatrice di questa corrente in America può essere considerata Margareth Naumburg (deceduta nel 1983), psicoanalista e seguace di Freud. A suo avviso "il processo di arte terapia si basa sul riconoscere che i sentimenti ed i pensieri più profondi dell'uomo, derivati dall'inconscio, raggiungono l'espressione di immagini piuttosto che di parole". L'arte terapia utilizza in realtà un insieme di tecniche e di trattamenti terapeutici che utilizzano le arti visive ( e con un significato più ampio, ance il teatro, la musica e la danza) per promuovere la salute (o favorire la guarigione) dell'individuo nella sfera emotiva, affettiva e relazionale, mirando a conciliar i conflitti emotivi e a promuovere la consapevolezza di sé.

A mio avviso il titolo che è stato dato alla Mostra che viene presentata questa sera è molto azzeccato: " Un soffio di arte". Ed è sotto questa prospettiva artistica che le opere di Tonetta Enrico e di Portieri Walter meritano di essere analizzate. Oltre che con loro mi complimento già da subito con gli organizzatori di questa esposizione. Purtroppo tra tutte le opere che essi hanno realizzato si è dovuta fare, per esigenza di spazio, una selezione.

Inizio da Tonetta Enrico per un motivo anagrafico. E’ nato a Belluno il 19 marzo 1953 e qui risiede. Dopo la Scuola Media ha frequentato le Scuole Professionali dove si è subito distinto per le sue naturali doti creative e manuali. Ha lavorato per alcuni anni ma la pittura è sempre stata la sua passione, un amore che è cresciuto con l’andare del tempo con opere che ha prodotto da autodidatta ed ha esposto in varie mostre personali. Qualcuno ha scritto che per lui dipingere è un po' come respirare.  A livello iconografico, per riprendere alcune categorie sopra citate, il tema principale che egli sviluppa è quello della natura, soprattutto montana. Già questa scelte suscita, a mio avviso, un senso di serenità. Diceva già Cicerone nel De legibus: " Non c'è niente di meglio per il diletto e la pace dell' animo della natura " Nihil melius ad requietem ed delectionem animi quam natura". Tonetta presenta la natura nel suo svolgersi vitale e ciclico delle stagioni:.  Stilisticamente l'elemento principale che lo caratterizza è il colore, in linea con quella che è la più genuina tradizione pittorica veneta. Il suo è’ un colore steso con accuratezza: più delicato per i soggetti primaverili,  più caldo per quelli estivi, più carico per l’ autunno, freddo invece con l'inverno. Anche la prospettiva è curata, sia quella lineare ma soprattutto, anche qui in sintonia con quanto con le scoperte di Giovanni Bellini e di Giorgio, con la cosiddetta prospettiva cromatica che crea la profondità mettendo i colori caldi in primo piano e quelli è freddi, soprattutto azzurri del cielo, in secondo piano. Ciò si nota in particolare nel dipinto, per me uno dei più belli, che rappresenta un paesaggio estivo, che mi ha richiamato quanto si può ammirare dal Nevegal, , con pioppi e cespugli di un colore caldo e dorato e sullo sfondo, soprattutto azzurre, la vallate e le montagne. Un ulteriore riferimento di possibile ispirazione per l’arte di Enrico Tonetta è quello della pittura degli impressionisti. Essi, oltre a scegliere come soggetto principale il paesaggio, lo rendevano con una tecnica molto libera e sciolta. E quello che fa anche Tonetta Enrico soprattutto raffigurando i prati e alberi con una pittura fluida, alle volte quasi acquarellata. Un altro particolare vorrei evidenziare. Claude Monet quando voleva intensificare la luce accostava i colori complementari. per esempio il rosso e il verde. In alcuni suoi quadri Tonetta Enrico fa la stessa cosa. Un'ultima osservazione riguarda la struttura compositiva, che è sempre armonica. Per fare solo qualche esempio egli inserisce due volte centralmente una chiesa tra due alberi simmetricamente ai lati, mentre nel dipinto a tema marino, oltre a una padronanza tecnica del segno, vi è una piacevole modularità orizzontale tra il mare ed edifici. Aggiungo che si è anche cimentato nella pittura più astratta, testimoniata da un dipinto presente in Mostra. Sono solo alcune annotazioni fra le tante che meriterebbero di essere fatte su opere che i fruitori della mostra potranno apprezzare direttamente.

Passo ora Walter Portieri. Egli è nato a Flawil in Svizzera il 26 novembre 1962. All’età di 5 anni fa rientro in Italia, a Belluno, per iniziare il percorso scolastico Conseguita la Licenza di Scuola Media viene avviato al mondo del lavoro. In questi anni ha svolto varie mansioni, dall’operaio, al muratore, all’autista. Si avvicina al disegno quando è studente prima come vignettista per la Gazzetta delle Dolomiti e poi dirottando la sua attenzione ai colori ad olio e alle tele. Walter si è avvicinato alla pittura “lentamente ”con il sostegno di alcuni pittori locali con i quali ha potuto esperimentare varie tecniche. La pittura è diventata ben presto il suo mezzo espressivo, il mezzo attraverso il quale riesce a rendere manifeste agli altri le sue emozioni. Coltivando questo suo naturale talento Walter ha prodotto, nel tempo, varie opere che sono state esposte nelle Ex – Tempore locali, e che lo hanno visto protagonista a Collettive di pittura, scultura e grafica. Anche lui, in varie opere ispirate alla natura, dice di aver sentito il fascino dell’impressionismo. Ma sono soprattutto le avanguardie che lo hanno maggiormente colpito e dalle quale ha tratto molte volte ispirazione. Su un quadro, dove raffigura un dolce volto femminile, scrive lui stesso : " Omaggio a Modigliani". In due nature morte con delle mele sopra un drappo è evidente il richiamo a Cézanne. In una serie di dipinti affronta anch'egli il tema della natura con colori forti e un segno molto marcato, in particolare in un paesaggio con il mare che si proietta con onde vigorose sugli scogli. A mio avviso però i quadri nei quali Walter ha espresso con maggior intensità il suo ricco mondo interiore sono quelli nei quali affronta il tema dell’uomo e del suo mistero. Già nell’opera che campeggia sulla vetrina vediamo una ragazza che sta imparando a una lezione di musica con un’insegnante che, come mi spiegava Walter stesso, ha lo sguardo enigmatico verso il futuro. Un altro dipinto presenta volutamente l’intreccio non chiaro dell’inconscio che è in ciascuno di noi. Tra i più riusciti, a mio avviso, sono i dipinti, spesso a tre colori armonicamente accostati tra di loro, raffiguranti la danza e il sonno, nonché quello, più variato nei colori, del clown, ricco di una intensa e struggente malinconia del clown, dal volto piegato e dagli occhi che sembrano chiedere intenso desidero di comprensione e di accoglienza. Anche qui, più che le mie parole, sarà l'osservazione diretta che permetterà una fruizione adeguata di queste belle e intense opere.

Vorrei concludere con un'esperienza personale. Alcuni anni fa ho visita ad Oslo il Museo dedicato a Munch. Nelle prime sale mi hanno subito colpito due quadri: il primo, anche perché universamente famoso, quello dell'urlo, con quel volto dagli occhi sbarrato e le mani sulle orecchie per non sentire il grido appunto delle sue sofferenze interiori; il secondo era invece un quadro invece a soggetto religioso ma strano con un Cristo crocifisso nudo che aveva il volto dell'artista mentre ai suoi piedi persone vi erano persone ostili o indifferenti.  Nel grande salone successivo c'è poi un ritratto del medico curante di Munch, che lo aveva aiutato a liberarsi dai suoi non pochi conflitti interiori, Quasi un atto di riconoscenza e un omaggio. Nell'ultima parete vi erano infine quadri dallo stile completamente differente con i colori diventati chiari e luminosi. Uno dei dipinti aveva questo titolo: Consolazione e raffigurava una persona che era accanto a un'altra con sentimenti di vicinanza e condivisione.

I quadri che sono esposti presso Porta Doiona fino al 28 gennaio danno voce, a mio avviso splendidamente, sia alla sofferenza che ognuno di noi porta dentro di sé, ma anche alla consolazione che i due  artisti hanno esperimentato e che ciascuno di noi prova quando si scoprono delle persone che amorevolmente ci stanno accanto. Grazie!

 

Walter Portieri

 

Enrico Tonetta